Teresa Ludovico è una profonda conoscitrice dei testi di Antonio Tarantino. Abituata alle sue parole, avendo messo in scena negli anni passati La casa di Ramallah, Namur, Cara Medea e Piccola Antigone, ha proposto di recente un inedito del 2010, Barabba, che tra le opere di Tarantino è una delle meno conosciute.
Ludovico, negli ultimi anni lei si è dedicata con passione a un profondo scavare nei testi del drammaturgo, che cosa è emerso?
“Una scrittura che è sostanzialmente e profondamente umana, e che non lascia spazio ad orpelli. Una scrittura intima, che ha una sua verticalità, nel senso che affonda le radici nel profondo per creare un’elevazione. La pittura è stata il primo linguaggio di Tarantino, ma quando questa è andata in esaurimento, non corrispondendogli più, si è dedicato al teatro scrivendo lo Stabat Mater, che ebbi la fortuna di vedere nel ’92. In quegli anni gli attori e gli autori lavoravano con il linguaggio del corpo, la parola era meno centrale, quindi lo spettacolo mi impressionò profondamente: era una valanga di parole, una scrittura sorprendente, ma allo stesso tempo toccante. Da lì ho seguito il suo percorso, perché l’aspetto che ancora oggi mi colpisce è la lingua che crea”.
Che tipo di lingua è e cosa ci dice, dell’oggi?
“È una lingua molto complessa da attraversare, perché è come una stratificazione: l’impressione è quella di essere archeologi, togli un pezzo e sotto c’è un’altra era. Noi siamo fatti di strati, di incontri, di un tempo storico, e la cosa bella è che dentro quella scrittura ci si possono riconoscere tutti. Ci sono archetipi, a volte evangelici, che hanno a che fare con la zona del sacro. Il sacro, per me, è anche la grande questione che, al di là delle religioni, abita dentro di noi. Attraverso i suoi testi, Tarantino tocca qualcosa che è legato al sacro, al mistero delle cose: per questo ritengo che Barabba rappresenti il suo testamento spirituale. L’autore ci consegna un testo in cui parla della verità e della presunzione di cercarla nell’alto dei cieli o nel profondo della terra, mentre l’abbiamo vicina e non ce ne accorgiamo”.
A chi parla Barabba?
“Tramite Barabba, Tarantino parla a tutti noi e a se stesso. Barabba siamo noi e il testo ci consegna una serie di domande, di cui molte bellissime. Pensiamo all’ultima affermazione del protagonista: ‘Ma se Lui mi ha assicurato che me la caverò, allora vuole dire che ci devo credere, perché è venuto qualcuno che mi ha voluto bene’. Una frase del genere, pronunciata da Barabba, liberato al posto del Cristo, che dovrebbe invece essere la Verità, fa riflettere. Tarantino dà voce agli ultimi, e lui stesso ha vissuto una vita ai margini della società. Era schivo, ha ricevuto tanti premi, ma scriveva per necessità, non per essere riconosciuto. È stato una persona umile e molto coerente”.
Lo spettacolo è un lungo monologo, tante parole e una fortissima fisicità del protagonista. È uno spettacolo sulla scrittura, ma anche sul corpo, un corpo che viene ingabbiato anche grazie alle luci ideate da Longuemare…
“Per me il teatro è qualcosa di totale, come il linguaggio, ed è per questo che parlo, qui in particolar modo, di parola incarnata: le parole non sono dette, ma assunte nella carne, è il corpo che parla, la voce vi risuona dentro. Ho cercato di mettere in scena un corpo imprigionato: noi stessi siamo vittime della nostra condizione e facciamo fatica ad uscirne. Volevamo costruire uno spazio scenico che avesse la verticalità della scrittura, infatti è presente una scala, poi Longuemare ha avuto la geniale idea di una struttura di tubi che ricordasse il cantiere, quindi scale, attraversamenti, un corpo imprigionato all’interno di strutture fisiche. Una partitura precisa che corrispondesse ad una altrettanto precisa drammaturgia delle luci, che esaltasse allo stesso modo il testo e il corpo”.
Con La Locandiera Sonia Bergamasco torna a lavorare con Antonio Latella e porta in scena una Mirandolina che promette di essere molto attuale. Quali sono le sue caratteristiche?
“Latella è un amico degli inizi: abbiamo lavorato insieme a Massimo Castri quando Antonio era ancora in scena come attore, successivamente abbiamo preso strade diverse e ci siamo ritrovati di recente, ovvero tre anni fa, quando mi chiese di interpretare Martha in Chi ha paura di Virginia Woolf. Per me si è trattato di un incontro felicissimo, che desideravo da sempre, con un regista di grandissima sensibilità e valore, che collabora con gli attori dal primo istante e non si stanca mai di restare in ascolto. È un regista forte, che propone visioni altrettanto forti, ma che è capace di mettere al centro il lavoro dell’attore. Un agire che per me è essenziale, emozionante, è quello che a me interessa. La Locandiera di Goldoni rappresenta un ritorno, ci siamo trovati insieme sulla Trilogia della Villeggiatura, di conseguenza tornare a Goldoni con un testo chiave è stata una proposta a cui non potevo rinunciare e ogni replica è una gioia, una scoperta continua”.
Il cast è ricco, e oltre al regista ritrova anche Ludovico Fededegni, con cui ha lavorato nello spettacolo che è valso ad entrambi il premio Ubu. Ci si immagina un contesto di forte affiatamento, che pensiamo faciliti anche la messa in scena, creando un valore aggiunto…
“La scelta degli attori, il casting, è anche questa un’arte che Antonio conosce bene: le sue scelte sono sempre dettate da qualità non solo artistiche, ma anche umane, che rappresentano il valore aggiunto. Quando c’è l’incontro, si sente. Ludovico era un compagno di lavoro già dallo spettacolo precedente, era l’unico con cui ero già stata in scena. Siamo in otto e non avevo mai affiancato nessuno di loro, anche se conoscevo benissimo Giovanni Franzoni. Per me continua ad essere un bellissimo incontro, aspetto non scontato”.
Qual è l’accoglienza riservata finora dal pubblico alla Locandiera?
“Abbiamo avuto la grandissima soddisfazione di aver visto teatri strapieni, con moltissimi giovani, anche perché La Locandiera è il fulcro del sistema scolastico, ma non è detto che gli studenti vengano a teatro di sera. Anche a Bologna abbiamo ricevuto una splendida accoglienza, soprattutto da parte di molti giovani, e allo Strehler abbiamo avuto il teatro esaurito fin dal primo giorno. L’allestimento è molto contemporaneo, Annelisa Zaccheria e Graziella Pepe sono collaboratrici storiche di Antonio, così come Franco Visioli. Insieme contribuiscono a creare uno spazio molto bello, ma anche molto impegnativo, che l’attore disegna di scena in scena. Se però i costumi sono molto contemporanei, la lingua di Goldoni viene rispettata in toto: è una lingua fisica pensata per il corpo dell’attore”.
Ora la porta a Ravenna, dove lei sarà impegnata anche come docente del Corso di alta formazione a Malagola con un seminario dal titolo ‘La voce immaginaria’. La voce, per un attore, o un’attrice, è fondamentale: cosa dice, di noi ?
“Per me dice tutto, nel senso che la voce di un essere umano che si manifesta dice di questa creatura quello che vuole dire, ma anche quello che vorrebbe tacere. La voce è corpo intero di un essere umano, nell’attore è strumento fisico, denso, un elemento plasmabile sul quale lavorare e che può produrre cortocircuiti e scoperte. ‘La voce immaginaria’ è anche indicazione di un possibile percorso, perché l’immaginazione è un’arma creativa, forse l’arma creativa per eccellenza che abbiamo a disposizione e anche la vocalità entra in questa direzione”.
Lo abbiamo visto in una scena spoglia su un piccolo sgabello tratteggiare, con il solo uso delle parole, l’intera terra di Germania, tanto che se si chiudevano gli occhi si potevano perfino vedere lo junker, la moglie o il principe sassone che animano la vicenda di Kohlhaas, il primo spettacolo con cui Marco Baliani ha inaugurato La Stagione dei Teatri. Lo abbiamo sentito riprodurre il rumore degli zoccoli dei cavalli con il corpo in modo talmente convincente che pareva quasi di essere in sella con il protagonista, lui che a cavallo non c’è mai stato, e raccontarci una storia che ci ha fatto uscire da teatro pieni di interrogativi. A fine novembre Marco Baliani, tra i fondatori del teatro di narrazione, ha dato voce alla storia di un sopruso ambientata nel 1500, mentre oggi, a distanza di pochi mesi, torna per raccontarne una più recente, che promette di regalare le stesse inquietudini che solo una storia ben raccontata riesce a fare.
Come nasce Una notte sbagliata?
“Sono partito da un’esperienza personale: è la storia di una persona bipolare, disturbata, che porta il cane a pisciare in un quartiere periferico, di notte. Si tratta del classico caso di posto sbagliato al momento sbagliato. Sul luogo arriva una pattuglia di uomini dell’Arma: persone sottopagate, frustrate, che si ritrovano in un quartiere in cui non sono amate. Quando gli agenti incontrano Tano (il protagonista, ndr) cominciano a divertirsi, all’inizio quasi bonariamente, ma il ragazzo soffre di un disturbo mentale e quando qualcuno gli si avvicina troppo diventa violento. Fino a qui potrebbe sembrare la cronaca, molto comune, di un sopruso ai danni di un diverso che, purtroppo, accade spesso. A me, però, interessava sperimentare più linguaggi e indagare quel meccanismo di violenza che fa di una persona un capro espiatorio. Volevo capire non perché succede, ma come succede. C’è un paesaggio sonoro molto presente, vengono proiettati disegni infantili, attribuiti a Tano e che ho fatto io. Prima interpreto lui, poi cominciano ad entrare altre voci: sono la sorella che lo va a trovare quando ormai è sul lettino dell’obitorio, il medico che lo ha in cura, i poliziotti”.
Siamo sempre nell’ambito del teatro di narrazione? (a qualcuno, come è già capitato, verrebbe voglia di definirlo teatro civile…)
“No, questo è uno spettacolo anti-narrativo, è un esempio di post-narrazione, come se l’attore non avesse più la possibilità di raccontare la storia per intero: il racconto è spezzato, pieno di luoghi oscuri. Purtroppo l’aggettivo civile è spesso appiccato al teatro di narrazione. Anche quello filodrammatico è teatro civile, il teatro è sempre un fattore di civiltà, che ha a che fare con la civis, la polis. È come se il termine civile in qualche modo assolvesse, come se bastasse avere una spiegazione politica didascalica e fosse sufficiente mettere da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Non sono contro il teatro civile, ma il mio non lo è, mi limito a stare dentro il ‘maelstrom’ dell’animo umano, che è aggrovigliato”.
La abbiamo vista in Kohlhaas con uno sgabello e nient’altro; anche qui la scena è spoglia, fatta eccezione per i disegni. Questo per dire che non serve tanto quando c’è la parola?
“Sì, anche se qui c’è qualcosa in più, perchè mi muovo. All’inizio sono il personaggio, non parlo in terza persona di Tano perché io sono Tano; poi però la luce cambia, ci sono stacchi luminosi e sonori, c’è una partitura che è anche una metafora di quella notte, di conseguenza non sono libero di andare dove voglio”.
Questo spettacolo è antecedente ai fatti che hanno coinvolto Stefano Cucchi, ma si intreccia alla sua storia, tanto che Ilaria Cucchi sarebbe dovuta essere presente alla serata e all’incontro. Come è nato questo rapporto?
“Non mi sono ispirato alla vicenda di Cucchi, lo spettacolo è nato prima di quel tragico episodio, purtroppo ce ne sono a bizzeffe di violenze di quel tipo. Si tratta di uno spettacolo universale che inevitabilmente richiama una vergogna di cui siamo venuti a conoscenza grazie al coraggio di Ilaria Cucchi”.
Prosegue la collaborazione tra Ravenna Teatro, Centro di Produzione Teatrale ravennate, MAR, museo d’arte della città, e Conservatorio statale Giuseppe Verdi nel segno del rapporto tra teatro, arte e musica. Sul modello di Storie di Ravenna, rassegna alla sesta edizione che coniuga la storia della città con i tempi e i linguaggi del teatro, si è costruito un percorso – denominato Storie del MAR – che mette in relazione le opere presenti al Museo con esperti e professionisti guidati dalla regia di attori delle Albe.
Quattro titoli verranno ripetuti in doppia data per un totale di otto appuntamenti domenicali, a cui se ne aggiunge uno dedicato alla celebrazione dei 100 anni della scuola di mosaico dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
“Il MAR è orgoglioso di ospitare al suo interno manifestazioni ed eventi teatrali andando a sostanziare così la funzione polifonica del museo. È questa l’occasione per vivere il museo da un punto di vista esperienziale e diverso dalla sua connotazione tradizionale” come dichiara il direttore del MAR Roberto Cantagalli.
“Siamo felici di portare avanti una nuova collaborazione con il MAR e con il Conservatorio statale Verdi – sottolineano il regista Alessandro Argnani e lo storico Giovanni Gardini -, nel solco di un percorso che è iniziato con lo spettacolo Il Mostro di Ravenna, a novembre ’22, ed è proseguito con il racconto della storia dei mosaici ravennati del ’59 a fine ’23. Con questo nuovo progetto intendiamo continuare a valorizzare il dialogo prezioso che si crea tra arti diverse. In questi anni abbiamo costruito un percorso che ha permesso al teatro di misurarsi con nuovi spazi e con pubblici eterogenei, e lo abbiamo fatto dando la possibilità a sempre più giovani di mettersi alla prova”.
Il progetto continua infatti a prevedere la collaborazione, per ogni appuntamento ad esclusione del 7 aprile, del Conservatorio statale Giuseppe Verdi di Ravenna.
“Dopo aver sperimentato il teatro d’opera insieme a Ravenna Teatro – osserva Anna Maria Storace, direttrice del Conservatorio – torniamo alle esperienze laboratoriali didattiche di cui siamo molto contenti. Questa collaborazione fa parte delle aree di interesse del Conservatorio e ci permette di lavorare sia con i bambini, sia con professionisti che non operano necessariamente in ambito musicale. Questo scambio ci consente di sviluppare una riflessione su come la musica possa dialogare con altre arti non solo in termini di sottofondo musicale, e offre un’applicazione pratica degli studi che potrebbe dare origine a sbocchi professionali”.
Il primo incontro del 25 febbraio – “Non aver veduto di Roma in poi bellezza uguale a questa”: la pala di San Bartolomeo di Nicolò Rondinelli nell’immaginario ravennate – che vede protagonista Lorenzo Gigante, Pietro Mengozzi e la sassofonista Federica Paoli, con la regia di Alessandro Argnani, si ripeterà il 28 aprile; segue il 3 marzo – Tessera dopo tessera – Il mosaico raccontato ai piccoli – disegni di Filippo Farneti, con Flaminia Pasquini Ferretti, regia di Argnani, che verrà ripetuto il 24 marzo. Il 10 marzo, Nelle mani dei Rasponi, si potrà rivedere il 14 aprile. In scena Matteo Bezzi, Alice Cottifogli ed il flautista Michele Benini, con la regia di Roberto Magnani. La replica di “Palma Bucarelli. La Galleria sono io”, del 17 marzo, con Giorgia Salerno, Camilla Berardi e con il clarinettista Arcangelo Pinto, regia di Laura Redaelli, si terrà il 21 aprile. Il 7 aprile si celebrerà il mosaico con la puntata 100 anni di ‘tessere’: la scuola di mosaico all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
IL PROGRAMMA
25 febbraio – “Non aver veduto di Roma in poi bellezza uguale a questa”: la pala di San Bartolomeo di Nicolò Rondinelli nell’immaginario ravennate
con Lorenzo Gigante, Pietro Mengozzi, regia Alessandro Argnani con Federica Paoli, sassofonista – Conservatorio statale Giuseppe Verdi
3 marzo – Tessera dopo tessera – Il mosaico raccontato ai piccoli (liberamente ispirato al libro “Tessere d’Arte” di Filippo Farneti)
illustrazioni di Filippo Farneti, con Flaminia Pasquini Ferretti, regia Alessandro Argnani
10 marzo – Nelle mani dei Rasponi
con Matteo Bezzi, Alice Cottifogli, regia Roberto Magnani con Michele Benini, flautista – Conservatorio statale Giuseppe Verdi
17 marzo – “Palma Bucarelli. La Galleria sono io”
con Giorgia Salerno, Camilla Berardi, regia Laura Redaelli con Arcangelo Pinto, clarinettista – Conservatorio statale Giuseppe Verdi
24 marzo – Tessera dopo tessera – Il mosaico raccontato ai piccoli (liberamente ispirato al libro “Tessere d’Arte” di Filippo Farneti)
disegni di Filippo Farneti con Flaminia Pasquini Ferretti, regia Alessandro Argnani
7 aprile – 100 anni di ‘tessere’: la scuola di mosaico all’Accademia di Belle Arti di Ravenna
con Paola Babini, Giovanni Gardini, Marco Santi, regia Alessandro Argnani
14 aprile – Nelle mani dei Rasponi
con Matteo Bezzi, Alice Cottifogli, regia Roberto Magnani con Michele Benini, flautista – Conservatorio statale Giuseppe Verdi
21 aprile – “Palma Bucarelli. La Galleria sono io”
con Giorgia Salerno, Camilla Berardi regia Laura Redaelli con Arcangelo Pinto, clarinettista – Conservatorio statale Giuseppe Verdi
28 aprile – “Non aver veduto di Roma in poi bellezza uguale a questa”: la pala di San Bartolomeo di Nicolò Rondinelli nell’immaginario ravennate
con Lorenzo Gigante, Pietro Mengozzi, regia Alessandro Argnani con Federica Paoli, sassofonista Conservatorio statale Giuseppe Verdi.
“Ho incontrato per la prima volta Oliva Denaro parecchio tempo fa, grazie al libro di Viola Ardone, che stava per essere pubblicato, conservo la copia unica che ho fatto solo recentemente firmare a Viola. Resto sempre quella che ‘non ci può credere’ e non per falsa umiltà, ma per consapevolezza della precarietà: finché c’è, voglio godermi tutti e poter chiedere anche gli autografi (rido seriamente).
La voglia di far conoscere questa storia è nata subito: leggi una pagina e dentro ci trovi tanto di quel posto che si chiama ‘coraggio’, che non vedi l’ora di prenderci la residenza. Quella volta però non è andata a buon fine la collaborazione, purtroppo stavo lottando per zittire delle chiacchiere sul mio privato… stavo comunque “lavorando” sul personaggio mio malgrado e nemmeno lo sapevo.
Il regista Giorgio Gallione ne acquista i diritti, qualche anno dopo, proprio lui con cui lavoro e torno sempre a casa, il primo folle che mi ha detto: ‘Ce la farai tu, con le tue risorse’ a partire dal mio battesimo teatrale con il monologo La misteriosa scomparsa di W di Stefano Benni. Così è nato questo progetto. Destino… nessuna magia, quella l’abbiamo messa tutta sul palco.
Oliva Denaro, ispirata alla vera storia di Franca Viola, racconta la storia di tante donne attraverso questa ragazza, che diventa una eroina grazie al valore del primo vero ‘no’. È ribelle e contraria ma con rispetto e gentilezza. La sua ribellione passa per il desiderio di conoscenza, per la sua curiosità. Oliva è un’eroina che come super potere ha anche quello di saper ascoltare gli altri. Quando non sa ascolta, quando non comprende chiede. E quando non le viene risposto… ‘io non sono favorevole’. È talmente bella da portare in scena questa piccola grande vita, che uno si sente meglio già solo a raccontarla, questa storia.
Ho lavorato insieme a Giorgio alla drammaturgia e gli sono grata per questo lavoro insieme perché non tutti i registi hanno voglia di aprirsi ad un confronto così bello e formativo. Amo molto il mio lavoro e amo scoprirlo come una matrioska in ogni suo aspetto. Abbiamo lavorato dal romanzo al testo teatrale cercando di preservarne la ricchezza e rispettandolo con attenzione e cura. Solo nel finale ho chiesto di poter inserire delle parole di Franca Viola tratte dalle sue interviste, sentivo il bisogno di una parte di verità legale.
Vado in ‘vacanza’ per tutta l’Italia fino al 21 aprile insieme ad Oliva: in questo momento le storie delle persone che con le loro scelte e il loro coraggio hanno cambiato il corso degli eventi anche per me, quelle che hanno tolto il prefisso negativo “in” dalla parola GIUSTIZIA… Mi piace farle vivere vicine”.
I Sacchi di sabbia nascono a Pisa nel 1995 e nel panorama della scena teatrale italiana si distinguono per la capacità di far incontrare tradizione popolare e ricerca culturale, spingendosi di volta in volta nell’esplorazione creativa di terreni diversi, dalla letteratura al cinema, dal fumetto all’opera.
Con questo spettacolo raccontate una delle tragedie più antiche utilizzando una chiave comica, che è poi la vostra cifra: cosa significa, per i Sacchi di sabbia, fare teatro?
“Il comico non lo scegli, te lo trovi addosso anche per caratteristiche attoriali, che fanno parte del Dna della compagnia. Come Sacchi di Sabbia abbiamo una fisionomia da circensi, da comici dell’arte, e ci siamo ritrovati questa peculiarità come bagaglio, prima di tutto umano, successivamente tecnico. È diventato il nostro tesoretto con cui abbiamo affrontato testi che in un determinato momento ci dicevano qualcosa. Abbiamo anche scritto, per il teatro, ma negli ultimi anni ci siamo dedicati alle rivisitazioni. Quando scrivi un testo tuo, ovviamente, dici quello che vuoi, mentre quando operi una rivisitazione, quello che vuoi dire ti scappa. Misurarsi con un’antica drammaturgia permette, prima di tutto, di conoscere cose che non si sapevano e, in seconda battuta, di proporle al pubblico. È questa la ragione per cui facciamo teatro. A volte il comico demolisce, è cattivo, altre, però, sa fungere da custode. Poter creare empatia attraverso una chiave comica su un testo come ‘7 contro Tebe’ non significa demolirlo, o farne una parodia, ma cercare un sentiero parallelo che avvicini lo spettacolo ad un pubblico contemporaneo. La soddisfazione più grande è quando i giovanissimi lo vedono e ridono, ma oltre alla risata riescono a trattenere anche qualcosa della poesia di Eschilo”.
‘7 contro Tebe’ è il terzo tassello di un lavoro portato avanti insieme a Massimiliano Civica: qual è la genesi del progetto e cosa ha portato all’opera questa collaborazione?
“Con Massimiliano ci siamo trovati nel 2016 per celebrare il festival Inequilibrio, di Fondazione Armunia, e abbiamo scelto un ambito, il mondo antico, in cui lui potesse farci da guida. Così è stato sia per ‘Dialoghi degli dei’, sia per ‘Andromaca’, mentre su ‘7 contro Tebe’ siamo stati più autonomi, pur avendo condiviso l’intera trilogia che nasceva da un percorso comune. Massimiliano è stato in grado di infonderci una scossa. Fino a quel momento eravamo concentrati su testi minori, come dimostra lo spettacolo ‘Sandokan, o la fine dell’avventura’, che ha segnato l’inizio di quel percorso ed era rivolto, in prima battuta, ad un pubblico adulto. Avevamo bisogno di cambiare rotta, di un iniziatore che ci conducesse in un mondo antico, e per noi Massimiliano è stato questo”.
In che modo, attraverso i classici, possiamo leggere l’oggi?
“Veniamo disabituati a ‘pescare’ la complessità delle storie che, proprio perchè ti intrigano e sono articolate, ti obbligano ad un lavoro che è fondamentale nel processo formativo di uno spettatore. Anche se, apparentemente, queste opere sembrano non rappresentare il presente, ci troviamo di fronte ad una modalità di porre i grandi problemi che è universale. Ad esempio, in questo testo emerge tutta la complessità degli antichi a partire dalle sinestesie: Eschilo ‘vede’ i rumori, aspetto che colpisce e scuote lo spettatore. Scatta un’intelligenza emotiva che, secondo noi, contribuisce a rendere attuali questi grandi capolavori, indipendentemente dall’argomento che trattano. In più in questo caso si parla di guerra, tema purtroppo attualissimo”.
Il giorno successivo, il 18 febbraio, porterete in scena lo spettacolo Sandokan, o la fine dell’avventura al Teatro Socjale, consigliato anche ai più piccoli. Com’è esibirsi per un pubblico adulto e com’è, invece, farlo per i bambini?
“Abbiamo iniziato ad esibirci per un pubblico adulto, che è certamente più competente. Nello specifico lo spettacolo ha debuttato al Festival ‘Primavera dei Teatri’ di Castrovillari, davanti a spettatori di teatro contemporaneo, capaci di cogliere tante sfumature, con un bagaglio di visione sconfinato. Ricordo, per dire, che c’era anche Franco Quadri. Inizialmente non avevamo pensato ai bambini, ma loro ci hanno aperto un mondo. Lo spettacolo è gioco allo stato puro, e quando va in scena si divertono allo stesso modo il compianto Franco Quadri e il bimbetto delle elementari. Quando ci esibiamo davanti ai piccoli abbiamo la serenità di non essere a cospetto di un giudice, cosa che il teatro dovrebbe un po’ ritrovare”.
Una curiosità: cosa scrisse Franco Quadri?
“Ci fece un titolone su Repubblica, ‘Gli ultimi Fuochi di Sandokan’, e quell’anno, era il 2008, vincemmo anche il Premio Speciale Ubu. Questo spettacolo ha compiuto un percorso anomalo, che è nato in quel contesto, ma che ha continuato la sua vita fuori, nell’ambito del teatro per ragazzi e per famiglie”.
MALAGOLA è tra i 400 partecipanti dell’8^edizione del Concorso Art Bonus 2024, organizzato dal Ministero della Cultura, ALES Spa e Promo PA Fondazione – LuBec per offrire visibilità e riconoscimento agli enti promotori di raccolte Art Bonus e ai loro donatori.
Il voto permetterà di mettere ancor più in luce le attività del centro di ricerca vocale e sonora ravennate, un unicum in Italia e dal respiro internazionale, che ha la sua radice nel lavoro pluripremiato e quarantennale di Ermanna Montanari (otto volte premio Ubu, Premio Duse, Golden Laurel, Premio Lo straniero “dedicato alla memoria di Carmelo Bene”) sulla poetica della voce, nello studio delle forme sceniche ibride dello studioso e docente dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna Enrico Pitozzi e nel loro dialogo ultradecennale.
C’è tempo per votare fino al 1° marzo e basta un click:
L’obiettivo del concorso è anche quello di far conoscere questa modalità di sovvenzionare la cultura, le cui donazioni godono di un beneficio fiscale del 65%.
Il percorso de La Faglia inizia nel luglio 2021 ad École Des Maîtres, che si è svolta al Teatro India durante il festival Short Theatre, quando alla compagnia Amendola / Malorni è stata commissionata una mise en éspace del testo di 25 minuti. Dopo questa prima elaborazione, il processo creativo è partito a dicembre 2021 con la prima residenza artistica a Vulkano, presso Ravenna Teatro, ed è poi proseguita a Lottounico, Roma, nell’aprile 2022, dove si è delineato ancor più chiaramente il progetto di messa in scena.
Simone Amendola, come è avvenuto l’adattamento del testo?
“Quello che è emerso dal lavoro di adattamento è una sintesi tra linguaggio e sguardo: il nostro teatro non è tanto incentrato sui temi, quanto sugli esseri umani e su come loro si pongono in relazione ad un determinato argomento che, in questo caso, è l’ambiente. Per la prima volta abbiamo abbandonato una scrittura nostra, anche perché dopo il lockdown c’era la necessità di raccontare le cose in modo diverso. Su questo ha influito anche il fatto che l’autrice fosse una donna, straniera, e di un’altra generazione rispetto alla nostra, con uno sguardo e con ambizioni tematiche diverse”.
Che tipo di lavoro è emerso?
“Il lavoro di questi due anni è stato particolare, dal testo sono emersi aspetti illuminanti: abbiamo cercato di compierne i contenuti anche attraverso un preciso adattamento scenico che partiva dall’idea di voler, prima di tutto, raccontare due esseri umani, e di farlo cercando di soffermarci su aspetti che non fossero ancora stati raccontati. Quello che per noi conta, indipendentemente dal tema, è un’angolazione per raccontare l’essere umano. Abbiamo fatto assorbire il testo dallo spettacolo evitando di scivolare nella propaganda”.
Il testo di Adèle Gascuel è molto ironico e solleva questioni diverse, anche di genere…
“Leggendo il testo ho avuto la percezione esatta che, se l’autrice lo avesse messo in scena, avrebbe fatto interpretare i due protagonisti maschili a due donne. Nonostante non ci fossero elementi per comprenderlo, ho capito quello che avrebbe voluto fare anche in seguito ad elementi di critica sul maschio che ho individuato tra le righe. Rispetto a questo aspetto, credo sia presente un elemento generazionale molto forte: un ragazzo di vent’anni mi diceva che, solo perché maschi, ci si debba sentire in colpa, e credo sia questo il pensiero che sta alla base di questo lavoro. C’è una rabbia che ancora dev’essere trasformata e credo che la nostra visione, come compagnia, abbia realizzato una mediazione assennata ed una rivendicazione nuova”.
È aperto fino al 22 febbraio il bando per candidarsi al corso di formazione permanente gratuito dal titolo Sound Design nelle performing arts diretto da Ermanna Montanari e Enrico Pitozzi con il sound designer Marco Olivieri e il light designer e direttore tecnico Luca Pagliano.
MALAGOLA – ideato e diretto da Ermanna Montanari, co-fondatrice e direzione artistica delle Albe, e dallo studioso e docente dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Enrico Pitozzi – è nato nell’ottobre del 2021 e raccoglie attività dal respiro internazionale collegate tra loro: la scuola, archivi sonori e audiovisivi tra i quali l’Archivio Demetrio Stratos, il Collegio Superiore di Estetica della Scena che promuove partnership editoriali, incontri, seminari, performance, concerti.
Il corso di formazione permanente Sound Design nelle performing arts – gratuito e dedicato a 13 studenti – mira a consolidare e/o riqualificare figure professionali che gravitano a diverso titolo intorno alle competenze connesse al sound design negli ambiti di produzione artistica, dalle arti performative alle installazioni, dai live set a quelli museali e radiofonici, così da delineare figure di alto profilo tecnico, realizzatori di progetti artistici fondati sulla spazializzazione, modellizzazione e registrazione-documentazione del suono. È pensato in sinergia con il progetto di alta formazione artistica, al fine di creare una filiera di competenze sia artistiche che tecniche nelle attività del centro.
Tra i docenti dei 3 moduli in cui si articola il corso, insieme ai direttori artistici Montanari e Pitozzi, al sound designer Marco Olivieri e al light designer e direttore tecnico Luca Pagliano, ci saranno diverse figure di primo piano che hanno elaborato sia strumenti che prospettive metodologiche di lavoro sul suono e la sua diffusione in spazi architettonicamente diversi, senza dimenticare l’incontro con artiste/i che hanno impiegato questi sistemi nella realizzazione delle loro opere, come: Nicola Prodi, Simone Corelli, Hubert Westkemper, Luigi Agostini, Massimo Carli, Robin Rimbaud aka Scanner.
La Scuola di vocalità è segnata dal tratto del disegnatore Stefano Ricci, che ha composto il logo e i materiali, insieme al progetto poetico per i social di Malagola di Marco Sciotto, studioso e responsabile degli archivi.
Tra i partner promotori a livello regionale, nazionale e internazionale che aderiscono al progetto: Fondazione Ravenna Manifestazioni-Ravenna Festival, Consorzio Digitalia, ERT- Emilia Romagna Teatro, Fondazione I Teatri, Istituto Superiore di Studi Musicali G. Verdi, Santarcangelo dei Teatri – Santarcangelo Festival, BH Audio, Tempi Tecnici Società Cooperativa, Robin Rimbaud Art Foundation.
SOUND DESIGN NELLE PERFORMING ARTS
corso di formazione permanente per 13 studenti Ravenna | da aprile a maggio 2024
150 ore complessive: 100 ore di lezioni in aula, 50 ore di “Project Work”
Requisiti di accesso:
abbiano residenza o domicilio sul territorio della Regione Emilia-Romagna;
siano dotati di titolo di formazione secondaria;
abbiano pregresse conoscenze, competenze ed esperienze professionali inerenti all’utilizzo e alla gestione di sistemi audio professionali (nell’ambito di teatro, cinema,danza, musica, multimedia, ecc.) acquisite attraverso percorsi formativi formali di formazione terziaria coerenti ed esperienze professionali testate;
abbiano comprovate competenze ed esperienze nei settori musicali (musica strumentale, elettronica ed elettroacustica) e conoscenza delle principali tecnologie applicate alla spazializzazione e ai sistemi di modellizzazione del suono.
Al termine sarà rilasciato un attestato di frequenza
Malagola fa parte delle attività di formazione teorico-pratiche avviate dal Centro di produzione ed Ente di formazione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro.
Operazione Rif. PA 2023-20219/RER approvata con DGR n. 2096 del 04/12/2023 e cofinanziata con risorse del FSE+ 2021-2027 e della Regione Emilia-Romagna
Dall’anno scorso anche la cooperativa Ravenna Teatro ha intrapreso il percorso per ottenere la certificazione di parità di genere. Un atto quasi dovuto, alla luce del fatto che i parametri che regolano questa certificazione sono le linee guida a cui questo centro di produzione teatrale si attiene fin dalla sua nascita, avvenuta oltre trent’anni fa. I parametri chiave (i cosiddetti “KPI”) che vengono tenuti in considerazione prevedono ad esempio la definizione di una politica di parità di genere aziendale, l’implementazione di un sistema di gestione e la nomina di un comitato guida per la redazione di un piano strategico dettagliato. Ma il raggiungimento della prima certificazione è solo l’inizio del percorso, poiché l’obiettivo finale è il miglioramento continuo degli indicatori. L’impegno del movimento cooperativo precede il rilascio della norma — la UNI/PdR 125:2022 — che definisce la procedura. L’organico di Ravenna Teatro è composto per oltre il 50% da donne. Gli uffici amministrativi, promozione e logistica sono retti esclusivamente da donne.
Ravenna Teatro si impegna pertanto a
non ammette alcuna forma di discriminazione diretta o indiretta, in relazione al genere, all’età, all’orientamento e all’identità sessuale, alla disabilità, allo stato di salute, all’origine etnica, alla nazionalità, alle opinioni politiche, alla categoria sociale di appartenenza e alla fede religiosa, alle responsabilità famigliari e assistenziali, o qualsiasi altro elemento considerato discriminatorio;
si impegna a preservare ed accrescere il valore del proprio personale, promuovendone la tutela dell’integrità psicofisica, morale e culturale attraverso condizioni di lavoro rispettose della dignità individuale e delle regole comportamentali;
intende favorire l’impegno di tutte le risorse ad agire con rispetto e integrità in ogni relazione con colleghe e colleghi, soci, clienti, fornitori e con tutti gli attori con cui interagiscono;
si impegna a promuovere l’effettiva parità tra uomini e donne in tutte le fasi del rapporto di lavoro, inclusi i processi di: selezione, assegnazione dei ruoli, valutazione delle prestazioni, promozione e avanzamenti di carriera, trattamento retributivo, cessazione del rapporto;
si impegna a promuovere l’empowerment femminile, per consentire alle donne di far sentire la propria voce, di individuare i propri talenti, e acquisire forza e fiducia sia nella quotidianità sia nel loro lavoro;
intende adottare misure volte ad accrescere la consapevolezza delle proprie risorse sui temi delle pari opportunità, diversità e inclusione, anche attraverso lo sviluppo di programmi di informazione, formazione e condivisione;
si impegna a basare la propria comunicazione, sia interna che esterna, sui principi della responsabilità, utilizzando un linguaggio rispettoso delle differenze di genere ed evitando lo stereotipo di genere;
si impegna a garantire che i generi siano equamente rappresentati tra i relatori dei panel di tavole rotonde, eventi, convegni o qualsivoglia evento di carattere scientifico.
Suggerimenti e segnalazioni possono essere inviati all’indirizzo: parita@ravennateatro.com
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