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In viaggio verso il teatro: un nuovo percorso per la Stagione 2024-2025

Un nuovo percorso da Porto Corsini, Marina di Ravenna, Punta Marina, Lido Adriano e Porto Fuori per la Stagione 2024-2025

Da diversi anni Ravenna Teatro offre ai residenti delle Circoscrizioni Nord e Sud del Comune di Ravenna e dei Comuni di Alfonsine e Voltana, l’opportunità di assistere agli spettacoli de La Stagione dei Teatri usufruendo di un servizio di trasporto gratuito.
Dal risvolto sia pratico che sociale, il servizio vuole coinvolgere una fascia di età eterogenea con un particolare pensiero agli studenti. Ogni viaggio sarà occasione di incontro tra cittadini accomunati dalla passione per il teatro, che saranno accompagnati da una presentazione dello spettacolo.
Per la prima volta quest’anno il servizio comprende anche Porto Corsini, Marina di Ravenna, Punta Marina, Lido Adriano e Porto Fuori.

L’abbonamento conta 8 appuntamenti:
Geppi Cucciari Perfetta, Marco Martinelli, Marco Cacciola Lettere a Bernini, Gianni Fantoni Fantozzi. Una tragedia, Andrea Pennacchi, Marco Baliani Arlecchino?, VicoQuartoMazzini La ferocia, Elio De Capitani Moby Dick alla prova, Teatro Sotterraneo L’angelo della storia, Renato Carpentieri Sarabanda.

Gli spettacoli iniziano alle ore 21:00. Orari e fermate sono da concordare in base alle adesioni. Il costo dell’abbonamento è di 146 € (per gli under26 50 €).

Di seguito le date e i percorsi:

LINEA CIRCOSCRIZIONI NORD, ALFONSINE E VOLTANA
LINEA LIDI E PORTO FUORI

Marco Martinelli, Marco Cacciola
Lettere a Bernini
Linea circoscrizioni nord, Alfonsine e Voltana giovedì 5 dicembre
Linea Lidi e Porto Fuori martedì 10 dicembre

Gianni Fantoni
Fantozzi. Una tragedia
giovedì 23 gennaio

Andrea Pennacchi, Marco Baliani
Arlecchino?
giovedì 6 febbraio

VicoQuartoMazzini
La ferocia
giovedì 13 marzo

Elio De Capitani
Moby Dick alla prova
giovedì 20 marzo

Teatro Sotterraneo
L’angelo della storia
giovedì 3 aprile

Geppi Cucciari
Perfetta
sabato 12 aprile

Renato Carpentieri
Sarabanda
martedì 15 aprile

LINEA CIRCOSCRIZIONI SUD E VILLANOVA DI RAVENNA

Geppi Cucciari
Perfetta
venerdì 22 novembre

Marco Martinelli, Marco Cacciola
Lettere a Bernini
venerdì 6 dicembre

Gianni Fantoni
Fantozzi. Una tragedia
venerdì 24 gennaio

Andrea Pennacchi, Marco Baliani
Arlecchino?
venerdì 7 febbraio

VicoQuartoMazzini
La ferocia
venerdì 14 marzo

Elio De Capitani
Moby Dick alla prova
venerdì 21 marzo

Teatro Sotterraneo
L’angelo della storia
venerdì 4 aprile

Renato Carpentieri
Sarabanda
mercoledì 16 aprile

Informazioni e prenotazioni Ravenna Teatro tel. 0544 36239 e info@ravennateatro.com

Presentata “La Stagione dei Teatri 2024-2025”

La Stagione dei Teatri ’24/’25 si presenta alla città: tradizione e contemporaneo si incontrano per mettere in vita nuove sfide

 

Tra prime nazionali e nuovi protagonisti, sono una ventina gli spettacoli che animeranno la Stagione; è possibile abbonarsi fino al 4 novembre.

È stato presentato ufficialmente alla città, sabato 28 settembre, il cartellone de La Stagione dei Teatri, organizzato da Ravenna Teatro in collaborazione con l’Amministrazione comunale, che sarà ospitato nei due teatri cittadini, il Rasi e l’Alighieri. Nel corso della mattinata sono intervenuti due dei protagonisti che ritroveremo anche in Stagione: l’attore e regista Marco Baliani, che in febbraio porterà lo spettacolo Arlecchino?, con Andrea Pennacchi, e la regista Licia Lanera, che per la prima volta metterà in scena Altri Libertini dell’indimenticato Pier Vittorio Tondelli.

La nuova Stagione dei Teatri sarà caratterizzata da affondi in una tradizione rivisitata, come nel caso del già citato Arlecchino? e di Moby Dick alla prova, quest’ultimo firmato dal regista Elio De Capitani, considerazioni sul tema del lavoro, introdotte dal ragioniere più famoso d’Italia, Ugo Fantozzi, qui impersonato dal comico Gianni Fantoni, riflessioni sull’essere donna, ieri come oggi, proposte da Marta Cuscunà, Geppi Cucciari, Concita De Gregorio, Maša Pelko e Chiara Lagani, introspezioni nell’animo umano fornite dal lavoro di Nicola Lagioia – che dà il titolo allo spettacolo della compagnia VicoQuartoMazzini, La ferocia – così come avviene in Via del popolo o, ancora, in Manson, spettacolo di Fanny & Alexander con Andrea Argentieri. La prossima Stagione sarà inoltre arricchita dal nuovo lavoro ideato da Marco Martinelli e Ermanna Montanari e dedicato alla figura di Gian Lorenzo Bernini, che porterà con sé occasioni di incontro e approfondimento lungo il mese di dicembre con giornalisti e studiosi. In questo ambito si colloca lo spettacolo di Alberto Giorgio Cassani su Leon Battista Alberti con Gianfranco Tondini.

La formula dell’abbonamento prevede sei titoli fissi e due a scelta sui quattordici disponibili. Sarà possibile sottoscrivere l’abbonamento alla Stagione teatrale creando un proprio percorso entro il 4 novembre. I prezzi non hanno subito variazioni. Grande attenzione continuerà ad essere riservata anche a chi ha meno di 26 anni, che potrà usufruire di abbonamenti a prezzi ridotti.

“Mai come in questo periodo storico – sottolineano i due co-direttori di Ravenna Teatro, Alessandro Argnani e Marcella Nonni – riteniamo ci sia bisogno di una cultura intesa come rito collettivo, come antidoto ad una quotidianità sempre più sopraffatta dalla contingenza. Il nuovo Cartellone che presentiamo alla città contiene titoli e protagonisti in grado di affrontare i grandi temi dell’oggi, lasciando spunti di riflessione utili per ridisegnare nuove traiettorie”.

I sei spettacoli fissi, programmati al Teatro Alighieri, sono: Perfetta, un testo di Mattia Torre interpretato da Geppi Cucciari, che ricorda quanto il ciclo mestruale influenzi la vita delle donne; Lettere a Bernini, il nuovo lavoro del regista ravennate Marco Martinelli sul maggiore esponente dell’arte figurativa barocca, Gian Lorenzo Bernini; Fantozzi. Una tragedia, con la regia di Davide Livermore che guida sulla scena Gianni Fantoni per immortalare il ragioniere più famoso d’Italia; Arlecchino? uno spettacolo di Marco Baliani, con protagonista Andrea Pennacchi, che racconta di un’Italia piena di contraddizioni; Moby Dick alla prova, spettacolo di Elio De Capitani che si rifà all’adattamento di Orson Welles del romanzo di MelvilleL’angelo della storia, un testo di Teatro Sotterraneo che trae spunto dall’ultimo lavoro di Walter Benjamin e che rappresenta la metafora del progresso che avanza. A margine di ognuno degli spettacoli fissi, fatta eccezione per Perfetta, seguirà, il sabato successivo all’andata in scena, il tradizionale incontro delle 18:00 alla Sala Corelli del Teatro Alighieri.

Nella rosa dei titoli che compongono gli spettacoli a scelta compaiono invece Altri libertini, tratto dall’omonimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli, con la regia di Licia Lanera e la presenza, tra gli altri, dell’attore delle Albe Roberto MagnaniImpronte dell’anima, in omaggio alla giornata della memoria; i due progetti di Fanny & Alexander dal titolo Manson e Maternità; lo spettacolo Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, che vede in scena la giornalista Concita De Gregorio e la cantautrice Erica Mou; Fratellina, vincitore del Premio Le Maschere del Teatro 2023 come miglior spettacolo; Via del popolo, di e con Saverio La Ruina; Five Kinds Of Silence, della regista slovena Maša Pelko che affronta il dramma della violenza familiare; My Body Solo, uno spettacolo prodotto da Nanou; Mulinobianco. Back to the green future, una riflessione di Babilonia Teatri sull’ambiente; La ferocia, tratto dall’omonimo capolavoro di Nicola Lagioia; Voodoo, con Eleonora Sedioli di Masque Teatro; La semplicità ingannata. Satira per attrici e pupazze sul lusso di essere donne, in cui Marta Cuscunà si interroga sulla condizione femminile prendendo spunto dalla resistenza attuata dalle monache del convento di Santa Chiara di Udine nel ‘500. Chiude il cartellone lo spettacolo Sarabanda, ispirato all’opera di Ingmar Bergman.

Si segnala, infine, l’evento speciale di sabato 18 gennaio, quando, alle 21:00, il Teatro Rasi accoglierà lo spettacolo Mangiare tutto! dell’ex concorrente di Masterchef Nicolò Califano, scritto da Califano insieme all’autore ravennate Matteo Cavezzali.

PRESENTAZIONI ITINERANTI

Come lo scorso anno, nel mese di settembre sono iniziate le presentazioni itineranti: studi professionali, dipartimenti universitari, sedi di associazioni, scuole, case di privati e centri di aggregazione dal cuore della città alla periferia ospiterano, fino a fine ottobre, il racconto degli spettacoli in Cartellone.

IN VIAGGIO VERSO IL TEATRO

Anche quest’anno Ravenna Teatro torna ad offrire ai residenti delle Circoscrizioni Nord e Sud del comune di Ravenna e a quelli del comune di Alfonsine e di Voltana l’opportunità di recarsi a teatro usufruendo di un servizio di trasporto gratuito. Si tratta di un progetto molto caro al pubblico di ogni età, dai giovani agli anziani, che permette di spostarsi gratuitamente in orario serale e di essere riaccompagnati al termine dello spettacolo (abbonamento più servizio di trasporto 146 euro / under 26 50 euro). Novità di quest’anno, il viaggio si aprirà ai lidi ravennati – da Marina di Ravenna a Punta Marina a Lido Adriano – fino alla frazione di Porto Fuori.

CONCORSO PER LE SCUOLE

Anche nella Stagione ’24-’25 tornerà il consueto concorso rivolto alle scuole. La proposta è quella di recensire uno o più spettacoli in calendario attraverso linguaggi congeniali ad alunni e alunne (dalla creazione di un testo scritto alla realizzazione di un video). Una giuria qualificata assegnerà il primo premio alla classe vincitrice, che avrà la possibilità di partecipare ad un viaggio alla scoperta di realtà italiane che presentano percorsi simili a quelli di Ravenna Teatro. Questo aspetto si legherà al progetto IN VIAGGIO CON RAVENNA TEATRO – un itinerario alla scoperta di realtà che condividono valori simili a quelli di questo Centro di Produzione – che quest’anno porterà a visitare, in primavera, la città di Lecce, Teatro Koreja e altri luoghi d’arte e di teatro.

COLLABORAZIONI

La rassegna è organizzata con il supporto di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna, ETC, Assicoop Unipol Sai, Sedar Cna Servizi Ravenna, Bcc Ravennate Forlivese e Imolese, Coop Alleanza 3.0, Reclam e si svolge in collaborazione con l’Amministrazione comunale. 
Media Partner: Il Resto del Carlino, Corriere Romagna, Ravenna Notizie, Setteserequi, Ravenna Web Tv, Pubblisole, Ravenna24ore, Ravenna e Dintorni.

Numerose le collaborazioni che proseguono anche quest’anno su fronti diversi: nell’ambito della formazione si rinsalda il rapporto con Fondazione Flaminia e crescono i progetti costruiti insieme al MAR, Museo d’arte della città di Ravenna, all’istituto superiore di studi musicali Giuseppe Verdi e all’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Sempre in ambito cittadino, continuano le collaborazioni con associazioni di categoria e di volontariato, come Avis, e con realtà private quali ad esempio Fondazione Sabe o il ristorante Al Passatore. Da quest’anno Ravenna Teatro ha poi stretto nuove collaborazioni con partner diversi: un percorso è stato avviato con Cgil sui temi del lavoro, in occasione dello spettacolo Fantozzi. Una tragedia, così come è stato stretto un rapporto con Cbr consulenze sul titolo Moby Dick alla prova di Elio De Capitani. Camst, cooperativa San Vitale, l’Albergo del Cuore e Il Solco saranno invece coinvolti sul progetto di Teatro la Ribalta, Impronte dell’anima, nell’ambito di iniziative legate alla Giornata della Memoria. Si rinnova, infine, la collaborazione con il Centro Diego Fabbri di Forlì, 
 che rende il teatro accessibile anche a non vedenti e a ipovedenti. Si ringraziano Cometha, Nuova OLP, Scotto Shipping e Romagna Acque, realtà locali da sempre vicine a Ravenna Teatro. Si ricorda che da quest’anno il bar del Teatro Alighieri aprirà alle ore 20:00 per dare modo a spettatrici e spettatori di fermarsi per un periodo più lungo prima dell’inizio degli spettacoli.

ABBONAMENTI

È possibile rinnovare o acquistare l’abbonamento fino a lunedì 4 novembre.

L’abbonamento conta 8 appuntamenti
6 titoli fissi:
Perfetta, Lettere a Bernini, Fantozzi. Una tragedia, Arlecchino?, Moby Dick alla prova, L’angelo della storia
2 titoli a scelta tra:
Altri libertini, Impronte dell’anima, Manson, Maternità, Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, Fratellina, Via del popolo, Five Kinds Of Silence, My body solo, MulinoBianco, La ferocia, Voodoo, La semplicità ingannata, Sarabanda

Fino a lunedì 4 novembre
Platea e palco I, II e III ordine Teatro Alighieri, I settore Teatro Rasi
intero 165 €, ridotto* 146 €, under26 50 €, Ti presento i miei (under20+genitore) 167 €
Galleria e palco IV ordine Teatro Alighieri, II settore Teatro Rasi
intero 113 €, ridotto* 103 €, under26 40 €, Ti presento i miei (under20+genitore) 122 €
Loggione Teatro Alighieri, II settore Teatro Rasi
intero 55 €, under26 38 €

BIGLIETTI

I biglietti sono in vendita da sabato 9 novembre presso il Teatro Alighieri; telefonicamente con carta di credito o Satispay; su questo sito; presso le agenzie de La Cassa di Ravenna Spa e Iat Ravenna. Il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sul prezzo del biglietto.
Prezzi e modalità di acquisto su BIGLIETTERIA.

Teatro Alighieri
Platea e palco I, II e III ordine intero 26 € ridotto* 22 € under26 10 €
Galleria e palco IV ordine intero 18 € ridotto* 16 € under26 10 €
Loggione
intero 9,00 € under26 6 €

Perfetta
Platea e palco I, II e III ordine 40 €
Galleria e palco IV ordine 35 €
Loggione 20 €

Fantozzi. Una tragedia e Arlecchino?
Platea e palco I, II e III ordine 32 €
Galleria e palco IV ordine 23 €
Loggione 15 €

Teatro Rasi
Settore unico intero 18 €
ridotto* 16 €
under26 10 €

*Cral aziendali, gruppi organizzati, docenti, oltre i 65 anni, TCI Touring Club Italiano, soci Coop Alleanza 3.0, Esp Club Card, soci Credito Cooperativo, Arci, Ali Intesa Sanpaolo, Avis, Amici di RavennAntica, Capit, Assicoop, Confcooperative, Coldiretti, Cna, Legacoop, Stadera, Unipol e Euro Company.

Tutte le informazioni sui vantaggi e le promozioni per gli abbonati, Cral aziendali, gruppi organizzati e gruppi scolastici, Ti presento i miei e il servizio di trasporto gratuito per gli spettatori del forese, Alfonsine e Voltana sono pubblicate su CONVENZIONI

INFORMAZIONI E CONTATTI

Ravenna Teatro | Centro di Produzione Teatrale 
via di Roma 39 Ravenna
Uffici aperti al pubblico da lunedì a venerdì dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00 tel. 0544 36239
info@ravennateatro.com
biglietteria@ravennateatro.com

“DON CHISCIOTTE AD ARDERE – opera in fieri 2024” di Martinelli e Montanari dal 26 giugno al 7 luglio al Ravenna Festival

In scena la prima e la seconda parte del progetto triennale sull’opera di Cervantes firmato da Ermanna Montanari e Marco Martinelli

DON CHISCIOTTE AD ARDERE, “opera in fieri 2023” @ Marco Caselli Nirmal

DON CHISCIOTTE AD ARDERE “opera in fieri 2024” è la seconda anta del progetto ideato e diretto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli, fondatori e direzione artistica del Teatro delle Albe, che andrà in scena a Palazzo Malagola, nell’ambito di Ravenna Festival, dal 26 giugno al 7 luglio (ad eccezione di lunedì 1° luglio) alle 20:00, e che quest’anno toccherà anche Palazzo di Teodorico. Lo spettacolo è una coproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Ravenna Festival e Teatro Alighieri, in collaborazione con i Musei nazionali di Ravenna e con Opera di Religione della Diocesi di Ravenna.

La seconda anta del progetto triennale (2023-2025) che i due direttori artistici delle Albe, Ermanna Montanari e Marco Martinelli, dedicano all’opera-mondo di Cervantes, continua nel solco del Cantiere Malagola, che porta avanti l’eredità del Cantiere Dante che dal 2017 al 2022 ha coinvolto migliaia di cittadini nella messa in scena delle cantiche della Divina Commedia. Dopo la prima anta, che parte e si sviluppa negli spazi dell’omonimo Palazzo Malagola, sede del Centro di ricerca vocale e sonora fondato e diretto proprio da Montanari insieme a Enrico Pitozzi, la seconda toccherà quest’anno il Palazzo di Teodorico e proseguirà con la processione degli “erranti”che fuggono dal rogo dei libri, l’episodio con cui si è conclusa, lo scorso anno, la prima anta. 
I maghi (Hermanita e Marcus, alias Ermanna Montanari e Marco Martinelli), insieme agli erranti e alle maschere (Don Chisciotte, Dulcinea, Sancio, alias Roberto Magnani, Laura Redaelli e Alessandro Argnani) arrivano alle rovine di un “palazzo”: passano attraverso un corridoio di muri e accedono a un prato. Lì i due maghi e le maschere si ispirano alla “schiava di Algeri”, novella centrale nella polifonia del romanzo di Cervantes, che da Martinelli e Montanari viene riletta alla luce della più bruciante attualità. Anche in questa parte, si pone l’accento sulla relazione articolata e drammatica tra realtà e sogno.

Spiegano Montanari e Martinelli: “Si tratta ogni volta di ‘mettere in vita’ un classico e, al contempo, di ‘mettere in scena’ Ravenna: negli anni Dante ha passato il testimone a Cervantes, la prima ‘Chiamata pubblica’ è avvenuta nel 2016, ma l’entusiasmo delle cittadine e dei cittadini nella creazione corale è rimasto immutato, segno che il teatro mantiene la sua forza dirompente quando, alla verticalità solitaria dell’arte, sa intrecciare l’orizzonte plurale dei corpi”.

“Ogni anno con le Albe – dichiara Franco Masotti, direttore artistico del Ravenna Festival – si rinnova un’avventura che coinvolge, grazie a una sapienza e a una capacità collaudata nel corso di tanti anni di lavoro, tutta la città: sia i suoi luoghi, anche i più segreti e appartati come quest’anno il Palazzo di Teodorico, sia i cittadini che rispondono, fedeli e sempre entusiasti, alla ‘Chiamata pubblica’. Arte e cittadinanza, un binomio che diventa ancora una volta protagonista trovando sempre nel Ravenna Festival il suo immancabile ‘compagno di strada’”.

Commenta Andrea Sardo, direttore dei Musei nazionali di Ravenna: “Sono sinceramente soddisfatto di questa opportunità di partecipazione alla vita culturale della città. Il Palazzo, che insieme alla Basilica di Classe, al Battistero degli Ariani, al Mausoleo di Teodorico e al museo nazionale, è parte del nuovo istituto autonomo dei Musei nazionali di Ravenna, con la sua enigmatica suggestione mi pare davvero una perfetta quinta scenica che aggiunge al geniale percorso drammaturgico la storicità evocativa del luogo teodoriciano, così cara ai ravennati”.

Prosegue Sandra Manara, direttrice del sito del Palazzo di Teodorico: “Siamo contenti di aprire, ancora una volta, le porte del Palazzo alla città di Ravenna. In passato, con le rassegne ‘Musica a Palazzo’, avevamo fatto conoscere questo gioiello dimenticato attraverso i giovani allievi degli istituti musicali, mentre quest’anno e il prossimo saranno due artisti pluripremiati, con il loro Teatro delle Albe, e insieme a Ravenna Festival, a farlo vivere con centinaia di cittadine e cittadini che hanno dimostrato grande partecipazione e senso di appartenenza”.

Anche quest’anno il progetto vedrà la partecipazione, insieme alle cittadine e ai cittadini di Ravenna, di “tribù” (gruppi composti da ragazzi e ragazze che hanno partecipato a laboratori di non-scuola) non solo da diverse parti d’Italia, da Torino a Matera a Lecce, ma anche dall’estero, ad esempio da Pristina e da Londra.

Il percorso drammaturgico, vocale e sonoro, vedrà, oltre ai cittadini e alle cittadine della Chiamata Pubblica, gli attori delle Albe insieme a Martinelli e Montanari. In scena ci saranno Alessandro Argnani, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Laura Redaelli, Marco Saccomandi. Guide saranno Cinzia Baccinelli, Alice Billò, Vittoria Nicita, Marco Saccomandi, Marco Sciotto e Anna-Lou Toudjian.
Le musiche sono state composte e saranno eseguite dal gruppo Leda: Serena Abrami, voce/synth; Enrico Vitali, chitarre; Fabrizio Baioni e Paolo Baioni, batteria/impulsi e segnali metallici; Giorgio Baioni, basso. Sound design Marco Olivieri, disegno dal vivo Stefano Ricci, spazio scenico Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi, Matilde Grossi; costumi Federica Famà, Flavia Ruggeri; disegno luci Luca Pagliano, Marcello Maggiori; direzione tecnica Luca Pagliano, Alessandro Pippo Bonoli e Luca Fagioli.

Pinocchio, dal mito all’adolescenza prolungata

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione de Diario di Pinocchio 20202065, in scena  per La Stagione dei Teatri 2023/2024 martedì 23 aprile alle 21:00 al Teatro RasiFederica Ferruzzi ha intervistato Roberto Corradino.

Roberto Corradino

Si intitola Pinocchio 20202065 lo spettacolo che l’attore e regista Roberto Corradino ha scelto di portare al Rasi di Ravenna, nell’ambito de La Stagione dei Teatri, martedì 23 aprile, alle 21:00. Uno spettacolo con cui l’attore pugliese intende fare luce su un personaggio caro all’infanzia, Pinocchio, analizzandone però un aspetto di cui non si sa nulla, ovvero la vita adulta.

Corradino, partiamo dal titolo: cosa significa quel numero?

“Rappresenta un enigma di cui non vorrei dire molto, dal momento che il pubblico è chiamato a risolverlo durante la performance. È un numero in codice, così come in codice è la drammaturgia”.

Come nasce Pinocchio 20202065?

“La domanda che mi sono posto e che sta alla base di questo spettacolo è ‘Cosa sappiamo davvero di Pinocchio, quando da burattino diventa un bambino vero?’ Fondamentalmente nulla, per cui lo spettatore è chiamato a sciogliere un enigma che si disvelerà ai camminanti a fine spettacolo”.

Camminanti?

“Sì. Ad un certo punto gli spettatori sono chiamati a camminare per andare letteralmente alla ricerca di risposte nell’ambito di un percorso in cui Pinocchio diventa prima umano, poi artista. Qui ci occupiamo di quello che la storia di Pinocchio non racconta e lo spettatore diventa parte attiva del processo di conoscenza di una biografia che, ovviamente, è immaginaria”.

Come sarebbe oggi Pinocchio?

“È proprio quello che vorrei descrivere, e per farlo ho immaginato una sorta di museo della memoria. Oggi Pinocchio avrà figli? Si sarà sposato?”.

Perché si è concentrato proprio su questa figura?

“Perché io sono Pinocchio. Da un lato volevo sottolineare che questo personaggio è un archetipo, un grande mito, dall’altro volevo analizzare il fenomeno di un’adolescenza sempre più prolungata, l’incapacità di accedere in modo adulto al mondo adulto”.

Cos’è il teatro per Roberto Corradino?

“Il teatro è una grande possibilità per vivere in modo pieno, modalità che è propria del fuoco, del rischio, ma è anche un’opportunità per trovare salvezza. Il teatro è il gioco più antico dell’uomo, non ha una vera utilità, ma serve per riaffermarsi in quello che si è. È qualcosa di sempre in movimento verso possibilità inimmaginate”.

Le Volpi, in scena i fanatismi del Belpaese

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione de Le Volpi, in scena  per La Stagione dei Teatri 2023/2024 sabato 13 aprile alle 21:00 al Teatro RasiFederica Ferruzzi ha intervistato Luca Ricci.

Uno spettacolo che il regista Luca Ricci firma insieme a Lucia Franchi, con cui dà vita, dal 2003, alla Compagnia CapoTrave, che produce proprie drammaturgie originali indagando i temi dell’attualità sociale dal punto di osservazione della provincia italiana. In scena protagonisti d’eccezione quali Giorgio Colangeli, attualmente candidato ai David di Donatello per il film di Paola Cortellesi, Antonella Attili, che abbiamo visto in Nuovo cinema Paradiso e, di recente, ospite del programma Propaganda Live di Diego Bianchi su La 7, e Federica Ombrato, in teatro diretta da Rifici, al cinema invece con Bellocchio.

Gli affari politici di una piccola realtà di provincia sono il cuore di questo spettacolo, che mette a nudo un modo di procedere scorretto, ma diffuso. Il tema è anche nelle cronache di oggi, cosa vi interessava sottolineare?

“Senza dubbio questo è l’aspetto centrale del lavoro: il punto di osservazione della provincia diventa una sorta di lente di ingrandimento per analizzare abitudini e costumi molto diffusi nel nostro Paese. Il tono è da commedia, è un lavoro in cui si ride, si ride molto, ma il tentativo che facciamo è anche quello di strozzare la risata in gola. In realtà non c’è niente da ridere di fronte a questo malcostume dilagante. Il nostro obiettivo, come autori, è anche quello di perseguire una sorta di liberazione, scrivere diventa terapeutico, ci liberiamo di cose che non ci vanno giù. La scrittura deve nascere da qualcosa che brucia, e allora pensiamo possa toccare corde che risultino interessanti anche per altri. Questo può stimolare una reazione, può, ad esempio, farci prendere atto che siamo tutti un po’ colpevoli rispetto a questi atteggiamenti. È un leggero scivolare verso un accomodamento reciproco, scagli la prima pietra chi non l’ha mai fatto in vita sua”.

Per presentare lo spettacolo siete ricorsi ad una frase di Sciascia: I grandi guadagni fanno scomparire i grandi principi, e i piccoli fanno scomparire i piccoli fanatismi Quali sono, qui, i piccoli fanatismi?

“Qui il fanatismo è quello di una giovane donna che si occupa di linguaggi del contemporaneo, che ha vissuto a Rotterdam, una città moderna e dinamica, ma che, tornata al paese, attua principi moraleggianti verso una generazione di padri che hanno rubato ed esaurito le risorse di cui ora sente la mancanza. È mossa da un intento anche nobile, ma alla fine scadrà nel fanatismo così come il sindaco, che per salvare un reparto ospedaliero si dimostrerà disposto a tutto. Allo stesso modo la madre, dirigente sanitaria, animata dalla volontà di non muovere troppo l’esistente, si dimostrerà capace di passare sopra la figlia pur di non sfigurare. Tre fanatismi che si incontrano in una situazione apparentemente molto tranquilla, che invece farà esplodere gli appetiti”.

A funzionare è anche la scelta dei protagonisti: cosa avete privilegiato nella selezione?

“Io e Lucia quasi mai scriviamo pensando a qualcuno. A volte è successo, ma non è la prassi. Le nostre ossessioni continuano a rimanere le storie, i contenuti, gli intrecci. In questo caso si è trattato di un incontro particolarmente fortunato perché Giorgio Colangeli e Antonella Attili sono due persone di grande generosità e professionalità, due qualità per nulla scontate. Ad esempio Colangeli, tutte le sere prima di andare in scena ripete la parte, la affina, regalandoci una bella lezione di vita. Federica Ombrato è stata un ‘innesto’ felice: è entrata per una sostituzione e ha spostato l’energia dello spettacolo in uno spazio inesplorato, è stata un’ulteriore ventata di freschezza”.

Il titolo, chiaramente, rimanda all’idea di astuzia: questi tre personaggi lo sono?

“Sì, senza dubbio: sono tre persone che, come dire, mettono in piedi una trama avvolgente, una tessitura, gli uni nei confronti degli altri per arrivare ai propri scopi. C’è inoltre un riferimento a Ben Jonson, un grande intellettuale, contemporaneo di Shakespeare per il quale nutriva una forte ammirazione. Scrisse Volpone, dove il personaggio centrale mette in piedi trame oscure e basate sulla furbizia per raggiungere i propri scopi. Per me l’aggettivo furbo non sempre ha valenza negativa, come dimostra il servo della commedia dell’arte che sarà protagonista del nuovo spettacolo: la sua furbizia non nasce da uno studio, bensì dalla pratica. Quello che cerchiamo di fare è scrivere testi in cui lo spettatore si immedesimi, quindi il risvolto oscuro arriva dopo: per tre quarti dello spettacolo la furbizia non si avverte, anzi si sopporta. Una spettatrice dopo una replica mi disse: ‘Colangeli è talmente affabile che gli daresti ragione anche quando dice cose assolutamente deprecabili’. Ecco, è esattamente questo l’obiettivo che volevamo raggiungere”.

Punzo: “Noi siamo utopia realizzata”

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione de Il figlio della Tempesta. Musiche, parole e immagini dalla Fortezza, in scena  per La Stagione dei Teatri 2023/2024 sabato 23 marzo alle 21:00 al Teatro RasiFederica Ferruzzi ha intervistato Armando Punzo.

 

Regista e drammaturgo, Armando Punzo ha fondato nell’ ’88 la Compagnia della Fortezza nel carcere di massima sicurezza di Volterra. Si tratta di uno dei primi progetti di teatro, in Italia, portato in un centro di reclusione.

Trentacinque anni di sfide, tentativi, dubbi, successi, arresti e ripartenze: cosa l’ha portata ad intraprendere questa esperienza?

“Credo che l’origine sia nel fatto che ho incontrato il teatro come possibilità, per la mia vita innanzitutto; questo mi ha condotto a Volterra nell’82, dov’era il Gruppo Internazionale L’avventura, che veniva dal teatro di Grotowski. Qui mi sono misurato con l’idea di un teatro non istituzionale, non legato alla tradizione, bensì all’idea del performer, dove metti in gioco te stesso più che rappresentare personaggi. Un teatro che ti sfida personalmente e che ti porta a nuove forme di creazione. Ho fatto parte di questa realtà per tre anni, poi il gruppo si è sciolto e io sono rimasto lì, continuando nella mia ricerca di teatro istituzionale e ho pensato di creare qualcosa di nuovo, così è nata la Compagnia della Fortezza”.

Quante persone hanno aderito inizialmente?

“Durante il primo anno sono state una ventina, erano soprattutto italiane. Si era iscritta tutta la comunità napoletana, ed è stato un po’ paradossale, visto che avevo sempre fatto di tutto per scappare da Napoli. Poi ricordo un cileno, un marocchino. Quello di Volterra è un carcere con stranieri di tutte le nazionalità: ci sono ucraini, russi, rumeni, tanti italiani, ma soprattutto persone del Sud, sia dell’Italia che, più in generale, del mondo. Il Sud è in carcere, e le ragioni sono evidentemente sociali, economiche, legate ad una povertà che porta a questo. In trentacinque anni non ho mai visto uno svedese, erano quasi tutti da Roma in giù”.

Oggi quanti siete?

“Oggi siamo dalle sessanta alle ottanta persone, alcune si occupano dei costumi, altre delle scenografie. Nell’ultimo spettacolo allo Strehler, dal titolo Naurae, eravamo ottantadue”.

In trentacinque anni come è cambiata l’attività?

“All’inizio era tutta una scoperta su come riuscire a muoversi in carcere, anche se questo aspetto non cambia mai; cambia la popolazione detenuta nei modi di essere, non si arriva mai ad una staticità, ad un consolidamento. Il carcere sembra un luogo immobile, ma è in continuo fermento. Tutti i giorni è realtà viva, dove di sicuro non c’è il rischio della routine, non posso certo vivere sugli allori. In questi anni abbiamo fatto cose che sembravano impossibili, abbiamo lavorato tanto su questo concetto, ci ho costruito sopra anche un festival. Sembrava tutto utopico, ma nel senso che intende Bloch, quando sostiene che noi siamo utopia realizzata, concreta. Abbiamo fatto cose impensabili grazie alla potenza della cultura, a quella forza data da uomini che si mettono insieme. Anche di questo parleremo durante l’incontro del 22 marzo in Classense, quando presenteremo il libro Un’idea più grande di me”.

Da cosa nasce il libro?

“Nasce dal bisogno di raccontare la mia esperienza: in proposito è stato detto e scritto tanto, ci sono state pubblicazioni che non sempre mi rispecchiavano e avevo bisogno di dire la mia. Questa è un’esperienza che rischia di essere accostata all’idea di teatro sociale, ma è un’etichetta in cui non mi sono ritrovato, perché punitiva dal punto di vista artistico. Quello sociale è un tipo di teatro legato alla cura, finalizzato non a un’espressione artistica, quanto al fatto che debba essere funzionale ad un’educazione e ad una risocializzazione del singolo. Quando ho fondato la Compagnia, non volevo lavorare con professionisti e non mi piaceva il teatro di ricerca di quegli anni. Sono andato in carcere per sperimentare la potenza del teatro con persone che non lo conoscevano. Avevo bisogno di sfidarmi e di sfidare. Non è un libro di memorie, ma ho chiesto a Rossella Menna di sviluppare i nostri lunghissimi dialoghi: Un’idea più grande di me è il mio manifesto artistico, in cui dico anche quanto il mio teatro sia stato travisato”.

Cosa ha trovato in carcere?

“Ho trovato l’idea della prigione, che poi è legata alle mie prime letture, le suggestioni di Gurdjieff, il concetto che tutti siamo prigionieri, un’idea platonica legata al mito della caverna che accomuna diverse culture. Siamo imprigionati nei nostri meccanismi, e quindi ho pensato che potessimo lavorare su una grande metafora. Ma, come dicevo, non è un teatro sociale: lì il destinatario finale è la persona che lavora, mentre quando si compie un’attività artistica ci si rivolge al pubblico. Poi è ovvio che la persona c’entra tanto e io sono il primo a trarre benefici da tutto questo”.

C’è una frase che più l’ha accompagnata in questi anni?

“Ce ne sono tante, ma la prima che mi viene in mente è quella di Aniello Arena, un attore, ex detenuto che, una volta espiata la pena, ha fatto cinema con Matteo Garrone e ora è anche su Netflix. È stato sedici anni con noi e una volta mi disse in napoletano: ‘Ma non lo potevo scoprire prima, tutto questo?’

E lei cosa gli rispose?

“Che tutto quello che era stato, era stato, ma che da quel momento in poi era tutto nelle sue mani. Al Sud ci sono storie incredibili, lo sappiamo, ma quando le tocchi con mano ti rendi conto che mancano cose basilari, è incredibile ma è ancora così. Sacche di umanità, milioni di persone che vivono in condizioni difficili, dove l’accesso alla cultura è qualcosa di impensabile e dove il luogo in cui vivi condiziona profondamente quello che sei”.

L’ironia, la nostra forma di contestazione

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione di 7-14-21-28, in scena per La Stagione dei Teatri 2023/2024 martedì 19 marzo, alle 21:00, al Teatro Alighieri, Federica Ferruzzi ha intervistato Antonio Rezza e Flavia Mastrella.

Antonio Rezza @Giulio Mazzi

Raggiungiamo telefonicamente Antonio Rezza mentre è in viaggio verso Perugia, dove la sera andrà in scena Hybris, uno spettacolo del 2022. “Mi faccia pensare…ah sì, Ravenna: porteremo 7-14-21-28, uno spettacolo del 2009: sa, siamo l’unica compagnia a portare in giro la totalità dei nostri spettacoli e quest’anno siamo a quota nove su nove. Siamo gli unici a farlo, e non mi riferisco solo all’Italia. È una scelta scriteriata, lo so”.

Come si riesce a tenerli a bada tutti e nove?

“Per me non è una grande fatica, una volta che ho fatto memoria sono a posto, gli spettacoli sono nati con me, li riacquisisco in fretta. Sul palco siamo io e Ivan Bellavista, lo abbiamo appena fatto in gennaio a Savona, ormai va in automatico. Forse fa più fatica Flavia (Mastrella, ndr), a dover ricomporre le scenografie ogni volta, magari qualcosa si rompe. La memoria, invece, non si rompe mai”.

Cambiano le città e cambia anche il pubblico, com’è la relazione con gli spettatori?

“Il pubblico guarda e basta, lo spettacolo va visto: chi guarda, guarda, chi fa, fa. Ogni volta, anche per non annoiarci, si spera sia diversa la dinamica. Ad esempio lo spettacolo di questa sera vedrà otto attori sul palco, abbiamo provato a diversificare portando tante persone, è sempre difficile fare spettacoli nuovi. La gestazione può durare tanto, non si è mai soddisfatti”.

Insieme, lei e Mastrella avete creato un sodalizio che è ancora in grado di dare nuovi spunti: come si fa, dopo così tanti anni?

“Facendo più cose: ci occupiamo anche di cinema, di scultura, di scrittura, quando è possibile anche di televisione. Tante cose diverse per non cadere nella trappola della specializzazione. Essere multiformi significa anche annoiarsi di meno”.

E il teatro a che punto si colloca?

“Il teatro finanzia tutto quello che facciamo, è ancora la via più libera per l’espressione, rispetto ad esempio al cinema, che non è un terreno libero a meno che non ti produci i film da solo. Flavia si occupa di mostre con sculture quando vuole. Noi non siamo finanziati dallo Stato, ma la memoria è labile e di sicuro non saremo ricordati per questo”.

E per cosa?

“Per l’irregolarità, l’unicità, perché facciamo cose che altri non fanno. E lo dico senza presunzione, ce lo dicono da quando abbiamo iniziato. Ecco, magari si potrebbe pensare ad una Fondazione, ma solo una volta che saremo morti: quella sì, potrebbe essere pagata dallo Stato, ma solo quando non ci saremo più. L’istituzione è l’oggetto del dissenso, non puoi prendere soldi da chi non condividi quello che fa, ma questo è un trasformismo abbastanza diffuso”.

Veniamo a 7-14..com’è raccontare la realtà attraverso i numeri?

“I numeri vanno fatti divertire, diventano come le parole: ad esempio posso dare idea di disperazione leggendo una data. Se io dico che una persona è morta 24 anni 71 anni fa, creo uno stato d’animo. Purtroppo spesso l’attore si sforza di essere credibile, mentre dovrebbe essere incredibile. Purtroppo il realismo ha rovinato parecchie menti, è un compromesso. Non dico che De Sica abbia sbagliato a fare film, ma ne basta uno come lui. Nessuno mente più dei realisti. La riproposizione della realtà è una menzogna: se uno ha la bellezza della fantasia, che ti frega della diga del Vajont?”.

Vuole aggiungere qualcosa?

“Sì: stanno sterminando un popolo e nessuno lo dice, io sto dalla parte dei palestinesi. Ci sono menti che fanno attenzione ad esprimersi per paura di non lavorare più, sono artisti falsamente progressisti. Ce lo fanno notare anche alcuni professori quando andiamo nelle università, questa cosa di certi artisti che non prendono posizione”.

Com’è rapportarsi con i giovani universitari? Che impressione fanno?

“La situazione è molto cambiata rispetto a vent’anni fa. L’Università di oggi sembra un liceo, i licei sembrano scuole medie, le medie fanno l’effetto delle elementari e le elementari sembrano materne. È tutto declassato. Oggi si diventa universitari solo con la morte dei genitori, solo con una perdita irreparabile uno matura un po’. Una volta si protestava, c’erano i direttivi politici, ora esiste solo you tube. Ai miei tempi c’era una coscienza, anche corrotta, ma almeno c’era. Oggi ci sono gli influencer”.

Al telefono Flavia Mastrella ci dice che, mentre Rezza è in giro con gli spettacoli, lei è già all’opera per il prossimo lavoro. “Non posso dire molto, al momento vivo in clausura, ma stiamo cercando di muovere qualcosa, è già tanto” spiega, mentre racconta della torunée che segue da lontano. “Quelle che circolano sono strutture molto delicate, in quanto lavoro sull’equilibrio, sulle fragilità. È come avere dei bambini: hanno bisogno sempre del medico, e non c’è vaccino che tenga. La scelta di portarli tutti in giro è  fonte di vita, lavorare in questo modo ci permette di mantenere viva l’arte che ci ha preceduto e che ci segue ancora. Nel tempo ci siamo mantenuti ‘puliti’, facciamo ancora quello che ci passa per la testa, a caro prezzo, ma vuoi mettere la soddisfazione? Le persone ci seguono con gioia”.

Com’è il rapporto che vi lega al pubblico?

“Per noi gli spettatori sono tutto: senza di loro non saremmo potuti esistere. In un sistema teatrale come il nostro, un po’ conservatore, il pubblico ci ha seguito, incoraggiato e permesso di entrare in sala. Principalmente abbiamo lavorato per raccontare il presente – cosa che in Italia è quasi vietata – attraverso l’ironia, che è anche una forma di contestazione in un mondo che ci vuole tristi e impauriti”.

Insieme avete creato un sodalizio che è ancora in grado di dare nuovi spunti: come si fa, dopo così tanti anni?

“Io viaggio fuori dal tempo, a me dieci anni sembrano tre giorni. Essendo sempre impegnata sull’aspetto creativo studio in continuazione, sono sempre intenta a guardare e non mi pesa il tempo, bensì mi manca: se penso che ho pochi anni ancora di ricerca e creatività lavorerei giorno e notte. Il teatro è stato lo spazio più libero che abbiamo trovato, è la condizione fondamentale, senza potremmo morire: su questo siamo d’accordo, è l’unico punto che ci accomuna”.

Rezza dice che sarete ricordati per l’irregolarità, anche per lei è così ?

“Secondo me tenteranno invece di regolarizzarci. Carmelo Bene è stato un innovatore non solo a livello di parola e direzioni teatrali, ma anche di spazio. Era innovativo, ma di questo aspetto non si parla mai: si parla solo del rapporto che ha avuto con i testi storici, ma non della sua innovazione. Ha portato in scena Pinocchio, in cui recitava in maniera incredibile, eppure si parla solo del testo”.

Veniamo allo spettacolo che porterete: com’è raccontare la realtà attraverso i numeri?

“Avevamo già pensato di fare una trilogia sulla realtà numerica, ci sembrava stessimo diventando numeri. Da alcuni anni il codice fiscale è diventato fondamentale per fare tutto, mentre fino a poco tempo fa i numeri e le password non erano molto importanti. In scena c’è un ideogramma gigantesco composto da un’altalena e da una falce da cui pende un tessuto. Rappresenta la fine dei giochi, il passaggio da un sistema bambino a un sistema adulto”.

Vuole aggiungere qualcosa?

“Sono contraria ad ogni forma di violenza e di attacco sull’altro: è chiaro che stiamo assistendo allo sterminio dei palestinesi, che peraltro dura da cent’anni, ma pensiamo anche a noi, visto che ci stanno annientato e con noi la nostra cultura. Stiamo diventando i camerieri dei turisti, oggi è impossibile realizzare un’attività creativa, e per chi ha 30 anni è dura. Viviamo in un’epoca in cui avere un bagaglio culturale sembra inutile, ci stanno fregando, ma di questo non parla nessuno”.

Come sono i giovani universitari?

“Io li adoro: ultimamente abbiamo avuto alcuni stagisti che non se ne sarebbero più andati. Nessuno dice loro che esiste la libertà espressiva, soprattutto in teatro li si obbliga sempre a seguire determinati canoni. Gli studenti pensano ci sia solo questo modo, ma io ho cercato di far capire loro che non è vero facendo controinformazione. A questi ragazzi, in generale, dico: ‘studiate e poi fate il contrario, però, intanto, studiate'”.

Barabba, un testo che parla a tutti noi

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione di Barabba, in scena per La Stagione dei Teatri 2023/2024 giovedì 14 marzo, alle 21:00, al Teatro Rasi, Federica Ferruzzi ha intervistato la regista Teresa Ludovico.

Foto di scena@Balto Videomaker

Teresa Ludovico è una profonda conoscitrice dei testi di Antonio Tarantino. Abituata alle sue parole, avendo messo in scena negli anni passati La casa di Ramallah, Namur, Cara Medea e Piccola Antigone, ha proposto di recente un inedito del 2010, Barabba, che tra le opere di Tarantino è una delle meno conosciute.

Ludovico, negli ultimi anni lei si è dedicata con passione a un profondo scavare nei testi del drammaturgo, che cosa è emerso?

“Una scrittura che è sostanzialmente e profondamente umana, e che non lascia spazio ad orpelli. Una scrittura intima, che ha una sua verticalità, nel senso che affonda le radici nel profondo per creare un’elevazione. La pittura è stata il primo linguaggio di Tarantino, ma quando questa è andata in esaurimento, non corrispondendogli più, si è dedicato al teatro scrivendo lo Stabat Mater, che ebbi la fortuna di vedere nel ’92. In quegli anni gli attori e gli autori lavoravano con il linguaggio del corpo, la parola era meno centrale, quindi lo spettacolo mi impressionò profondamente: era una valanga di parole, una scrittura sorprendente, ma allo stesso tempo toccante. Da lì ho seguito il suo percorso, perché l’aspetto che ancora oggi mi colpisce è la lingua che crea”.

Che tipo di lingua è e cosa ci dice, dell’oggi?

“È una lingua molto complessa da attraversare, perché è come una stratificazione: l’impressione è quella di essere archeologi, togli un pezzo e sotto c’è un’altra era. Noi siamo fatti di strati, di incontri, di un tempo storico, e la cosa bella è che dentro quella scrittura ci si possono riconoscere tutti. Ci sono archetipi, a volte evangelici, che hanno a che fare con la zona del sacro. Il sacro, per me, è anche la grande questione che, al di là delle religioni, abita dentro di noi. Attraverso i suoi testi, Tarantino tocca qualcosa che è legato al sacro, al mistero delle cose: per questo ritengo che Barabba rappresenti il suo testamento spirituale. L’autore ci consegna un testo in cui parla della verità e della presunzione di cercarla nell’alto dei cieli o nel profondo della terra, mentre l’abbiamo vicina e non ce ne accorgiamo”.

A chi parla Barabba?

“Tramite Barabba, Tarantino parla a tutti noi e a se stesso. Barabba siamo noi e il testo ci consegna una serie di domande, di cui molte bellissime. Pensiamo all’ultima affermazione del protagonista: ‘Ma se Lui mi ha assicurato che me la caverò, allora vuole dire che ci devo credere, perché è venuto qualcuno che mi ha voluto bene’. Una frase del genere, pronunciata da Barabba, liberato al posto del Cristo, che dovrebbe invece essere la Verità, fa riflettere. Tarantino dà voce agli ultimi, e lui stesso ha vissuto una vita ai margini della società. Era schivo, ha ricevuto tanti premi, ma scriveva per necessità, non per essere riconosciuto. È stato una persona umile e molto coerente”.

Lo spettacolo è un lungo monologo, tante parole e una fortissima fisicità del protagonista. È uno spettacolo sulla scrittura, ma anche sul corpo, un corpo che viene ingabbiato anche grazie alle luci ideate da Longuemare…

“Per me il teatro è qualcosa di totale, come il linguaggio, ed è per questo che parlo, qui in particolar modo, di parola incarnata: le parole non sono dette, ma assunte nella carne, è il corpo che parla, la voce vi risuona dentro. Ho cercato di mettere in scena un corpo imprigionato: noi stessi siamo vittime della nostra condizione e facciamo fatica ad uscirne. Volevamo costruire uno spazio scenico che avesse la verticalità della scrittura, infatti è presente una scala, poi Longuemare ha avuto la geniale idea di una struttura di tubi che ricordasse il cantiere, quindi scale, attraversamenti, un corpo imprigionato all’interno di strutture fisiche. Una partitura precisa che corrispondesse ad una altrettanto precisa drammaturgia delle luci, che esaltasse allo stesso modo il testo e il corpo”.

Goldoni, una lingua pensata per il corpo dell’attore

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

In occasione de La Locandiera, in scena per La Stagione dei Teatri 2023/2024 giovedì 7, venerdì 8, sabato 9 marzo, alle 21:00, e domenica 10, alle 15:30, al Teatro Alighieri, Federica Ferruzzi ha intervistato Sonia Bergamasco.

Con La Locandiera Sonia Bergamasco torna a lavorare con Antonio Latella e porta in scena una Mirandolina che promette di essere molto attuale. Quali sono le sue caratteristiche?

“Latella è un amico degli inizi: abbiamo lavorato insieme a Massimo Castri quando Antonio era ancora in scena come attore, successivamente abbiamo preso strade diverse e ci siamo ritrovati di recente, ovvero tre anni fa, quando mi chiese di interpretare Martha in Chi ha paura di Virginia Woolf. Per me si è trattato di un incontro felicissimo, che desideravo da sempre, con un regista di grandissima sensibilità e valore, che collabora con gli attori dal primo istante e non si stanca mai di restare in ascolto. È un regista forte, che propone visioni altrettanto forti, ma che è capace di mettere al centro il lavoro dell’attore. Un agire che per me è essenziale, emozionante, è quello che a me interessa. La Locandiera di Goldoni rappresenta un ritorno, ci siamo trovati insieme sulla Trilogia della Villeggiatura, di conseguenza tornare a Goldoni con un testo chiave è stata una proposta a cui non potevo rinunciare e ogni replica è una gioia, una scoperta continua”. 

Il cast è ricco, e oltre al regista ritrova anche Ludovico Fededegni, con cui ha lavorato nello spettacolo che è valso ad entrambi il premio Ubu. Ci si immagina un contesto di forte affiatamento, che pensiamo faciliti anche la messa in scena, creando un valore aggiunto…

“La scelta degli attori, il casting, è anche questa un’arte che Antonio conosce bene: le sue scelte sono sempre dettate da qualità non solo artistiche, ma anche umane, che rappresentano il valore aggiunto. Quando c’è l’incontro, si sente. Ludovico era un compagno di lavoro già dallo spettacolo precedente, era l’unico con cui ero già stata in scena. Siamo in otto e non avevo mai affiancato nessuno di loro, anche se conoscevo benissimo Giovanni Franzoni. Per me continua ad essere un bellissimo incontro, aspetto non scontato”.

Qual è l’accoglienza riservata finora dal pubblico alla Locandiera?

“Abbiamo avuto la grandissima soddisfazione di aver visto teatri strapieni, con moltissimi giovani, anche perché La Locandiera è il fulcro del sistema scolastico, ma non è detto che gli studenti vengano a teatro di sera. Anche a Bologna abbiamo ricevuto una splendida accoglienza, soprattutto da parte di molti giovani, e allo Strehler abbiamo avuto il teatro esaurito fin dal primo giorno. L’allestimento è molto contemporaneo, Annelisa Zaccheria e Graziella Pepe sono collaboratrici storiche di Antonio, così come Franco Visioli. Insieme contribuiscono a creare uno spazio molto bello, ma anche molto impegnativo, che l’attore disegna di scena in scena. Se però i costumi sono molto contemporanei, la lingua di Goldoni viene rispettata in toto: è una lingua fisica pensata per il corpo dell’attore”.

Ora la porta a Ravenna, dove lei sarà impegnata anche come docente del Corso di alta formazione a Malagola con un seminario dal titolo ‘La voce immaginaria’. La voce, per un attore, o un’attrice, è fondamentale: cosa dice, di noi ?

“Per me dice tutto, nel senso che la voce di un essere umano che si manifesta dice di questa creatura quello che vuole dire, ma anche quello che vorrebbe tacere. La voce è corpo intero di un essere umano, nell’attore è strumento fisico, denso, un elemento plasmabile sul quale lavorare e che può produrre cortocircuiti e scoperte. ‘La voce immaginaria’ è anche indicazione di un possibile percorso, perché l’immaginazione è un’arma creativa, forse l’arma creativa per eccellenza che abbiamo a disposizione e anche la vocalità entra in questa direzione”.