Un doppio approfondimento a cura di Federica Ferruzzi perFantozzi. Una tragedia, regia di Davide Livermore, al Teatro Alighieri dal 23 al 26 gennaio 2025 per La Stagione dei Teatri 2024/2025. Gianni Fantoni ci introduce in video allo spettacolo, mentre l’intervista a Manuela Trancossi, segretaria generale Cgil provincia di Ravenna, ci riporta una fotografia del mondo del lavoro di oggi.
Lo spettacolo di Gianni Fantoni, con la regia di Davide Livermore, offre l’opportunità di dimostrare quanto il teatro sia vivo e sappia parlare all’oggi, affrontando tematiche attuali. La figura di Fantozzi, vera e propria maschera della commedia dell’arte, è diventata nel tempo l’immagine del lavoratore medio. Oggi, però, di quella condizione non rimane nulla: tutto si è appiattito al punto che, anche chi lavora, si ritrova spesso in condizione di precarietà. Per aumentare le domande su di noi e su quello che viviamo, cercando quindi di moltiplicare le prospettive, Ravenna Teatro ha richiesto la collaborazione di Cgil Ravenna, che ha contribuito al confronto che avrà luogo sabato 25 gennaio, al Teatro Alighieri, alle 18:00, quando si parlerà di arte e di lavoro con attori ed esponenti sindacali. Contestualmente, Manuela Trancossi, segretaria generale Cgil provincia di Ravenna, ha risposto ad alcune domande sulla situazione lavorativa in provincia di Ravenna.
Trancossi, qual è la situazione in provincia in ambito lavorativo? Qual è l’andamento occupazionale?
“In linea generale, il ‘24 è stato un anno in cui abbiamo iniziato a vedere i primi segni di una crisi in arrivo; dopo l’estate sono aumentate anche sul territorio ravennate le casse integrazioni e dalle aziende sono arrivati parecchi segnali negativi, come dimostra la chiusura di una realtà, nel cervese, che aveva oltre un centinaio di lavoratori. A questo si aggiungono i temi, a noi molto cari, della salute e della sicurezza: qui i dati complessivi segnano un aumento degli infortuni e delle malattie professionalizzanti”.
Com’è iniziato il ’25?
“Il 2025 non aiuta la situazione generale, non percepiamo grandi margini di miglioramento; continuano le casse integrazioni e la situazione economica non fa intravedere soluzioni positive. Lo scenario politico non offre un’idea di miglioramento. Ad oggi il mondo del lavoro è precariato. Se pensiamo allo spettacolo, nelle situazioni affrontate dal buon Fantozzi possiamo dire che sì, era sfortunato, ma viveva una condizione lavorativa agiata, che gli permetteva di avere una casa di proprietà, di poter fare le vacanze, di possedere un’automobile. Possibilità che, oggi, sono meno diffuse, al punto che anche chi ha un posto fisso vive in condizione di precarietà. Se non si ha un aiuto dalla famiglia è difficile vivere: come dicevo, le difficoltà sono anche legate all’inflazione e agli stipendi, che non sono assolutamente al passo con il costo della vita.
Se prendiamo, ad esempio, i lavoratori del pubblico impiego, che nell’immaginario collettivo sono i più tutelati e che spesso sono tacciati di non fare nulla, oggi scappano dalle Amministrazioni pubbliche in quanto i salari non sono più congrui. I loro stipendi hanno subito un aumento del 5% in un momento in cui l’inflazione è al 17%. A non avere più compensi equi sono anche i medici e gli infermieri, professionalità in forte crisi con salari inadeguati e chi compie lavori professionalmente più poveri ha condizioni ancora peggiori”.
Negli ultimi anni a registrare parecchie difficoltà, anche in una realtà come la nostra, è stato il lavoro stagionale: sembra che nessuno lo voglia più fare…
“Il lavoro stagionale avrebbe bisogno di maggiori regolamentazioni: occorrono tavoli su cui riflettere, c’è sempre carenza di manodopera, ma oggi questo settore ha bisogno di provare ad essere maggiormente regolamentato rispetto a turni e orari. Servono regole in quanto questo tipo di contratto non viene rispettato al 100%. Per questo, aprire un tavolo sul turismo in provincia di Ravenna potrebbe aiutare a trovare meccanismi nuovi su cui provare a lavorare. Un tempo, quel tipo di occupazione permetteva di portare a casa un buon risultato in termini economici, ma oggi non è più così: la Stagione non è più pagata a sufficienza e le persone dicono, giustamente, che farlo ai ritmi che sappiamo non ne vale la pena. Aggiungo che il Covid ha cambiato la percezione del lavoro: lavorare tutta la settimana andrebbe regolamentato meglio”.
Chi dovrebbe partecipare al Tavolo che suggerite?
“Al Tavolo dovrebbero sedere le organizzazioni sindacali, l’associazione degli imprenditori, e questo istituto dovrebbe essere gestito dalla Provincia o dai Comuni maggiormente interessati, quali ad esempio Cervia e Ravenna”.
La differenza salariale tra uomini e donne è sempre molto alta?
“Sì, su questo fronte scontiamo sempre moltissimo: le donne sono quelle che hanno un gap salariale indiscutibile e assodato, hanno i lavori più precari, meno professionali; se penso a tutto il settore socio sanitario, ci sono moltissimi part-time involontari, le donne hanno meno opportunità e spesso hanno un impiego che non permette loro di essere autonome al 100%. A questo si aggiungono i carichi familiari che impediscono loro di assumere altri lavori”.
Quali, in generale, le prospettive?
“Indubbiamente la nostra provincia beneficia di una situazione che viene da lontano: qui c’è ancora un tessuto sociale che ‘tiene’, anche se è in forte difficoltà. È chiaro quindi che, se non cambiano i meccanismi, a partire da aumenti salariali e politiche chiare, e se il Governo taglia i fondi, inevitabilmente si creano vuoti rispetto ai servizi sociali. Se non ci sono le economie, piano piano i servizi vengono erosi; anche noi, in Emilia-Romagna, ci siamo accorgendo che la sanità è in crisi e dopo il Covid è stata messa in seria difficoltà. Altrove, probabilmente, questo non emerge perché la situazione è rimasta pressochè invariata. I Comuni stanno cercando di investire sui servizi alle persone, ma è chiaro che non può durare se non arrivano fondi dal Governo. Puoi tassare i cittadini, certo, ma devi concedere loro entrate maggiori. La povertà è in aumento anche sul nostro territorio, anche se rispetto ad altre regioni la situazione è migliore, ma questo non sarà vero all’infinito”.
In occasione di Altri Libertini. Di Pier Vittorio TondelliFederica Ferruzzi ha intervistato la drammaturga, regista e attrice Licia Lanera, che porterà in scena per La Stagione dei Teatri 2024/2025 lo spettacolo al Teatro Rasi di Ravenna dal 9 all’11 gennaio. Insieme a lei sul palco ci saranno Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani.
Lanera, come nasce lo sguardo su Tondelli, come nasce il rapporto con i suoi lavori, che lei attraversa e restituisce sulla scena in modo assolutamente personale, ma allo stesso tempo senza tradire lo spirito dell’autore?
“Tondelli è un autore che ho conosciuto e iniziato ad amare non molto tempo fa. La prima cosa che mi ha colpito è stata sicuramente la sua lingua, questo parlato tradotto sulla pagina, questa lingua bastarda e viva che descriveva paesaggi e situazioni degli anni ‘80. Man mano che mi sono addentrata nell’opera di Tondelli ho scoperto di avere anche delle profonde connessioni con l’autore dal punto di vista emotivo, connessioni con il suo sguardo sul mondo. In particolare Altri Libertini contiene tutta una serie di questioni che mi appartengono, questa adesione alla parola tondelliana è amore profondo, oltre che rispetto. Tutto ciò ha fatto sì che venisse fuori questo spettacolo assolutamente fedele nella sua trasposizione in teatro; infatti, non ho proposto un adattamento teatrale all’opera narrativa, ma ne faccio dei tagli e compio un’operazione drammaturgica di incastro dei tre racconti scelti per la messa in scena, che però rimangono tali e non vengono stravolti. In più, a questo adattamento del romanzo, viene affiancata una parte drammaturgica biografica in cui io connetto quest’opera appartenente a un’epoca in cui io e i miei compagni di spettacolo non eravamo ancora nati (o quasi) e traccio una linea temporale ed emotiva tra quelle parole e noi”.
La scelta degli attori sembra essere frutto di un’attenta selezione, e il risultato è uno spettacolo che registra ovunque il tutto esaurito e che ha molto colpito la critica. Tre anime diverse (Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani) che riflettono le tante sfaccettature di Tondelli e che, insieme, sono di un’alchimia perfetta: come le ha individuate?
“Quando ho deciso di fare Altri Libertini, non avevo idea di come sarebbe stato lo spettacolo e non avevo neanche idea di quali sarebbero stati i racconti che avrei scelto; avevo delle opzioni, ma non avevo preso delle decisioni. La prima cosa che però ho fatto, che era l’unica cosa che sapevo, è stata convocare i tre attori. Questo accadeva due anni prima del debutto. Io ero certa che avrei dovuto fare lo spettacolo con loro: tre attori che conosco e tre persone a cui sono molto legata, che avrebbero potuto abitare questa parola con una grande dote teatrale e attoriale, ma anche con una sincerità emotiva per me necessaria a non rendere questa dimensione giovanile trasgressiva una farsa. Loro tre mi sembravano diversi, ma molto legati da interessi simili, da un sentire comune, che poi è lo stesso mio. In base a loro tre ho scelto i tre racconti e mi sembra che le mie aspettative siano state abbondantemente esaudite”.
Uno degli elementi che colpisce dello spettacolo è l’attualità della condizione raccontata dall’autore, che attraversa e accomuna le generazioni. Cosa le ha ‘ridato’ questo spettacolo e cosa ci ha visto, il pubblico?
“Io credo che per il pubblico questo sia uno spettacolo fortemente liberatorio, profondamente erotico e disperatamente vitale, che è un po’ quello che io cercavo e ho trovato in quelle pagine e che ho cercato di restituire sul palco. Questa fame insaziabile di vita che può portare anche alla morte è il centro di questo racconto iperbolico, esagerato e profondissimo. Credo che questo, anche grazie agli attori, sia estremamente chiaro al pubblico e tutti insieme, come dire, marciamo verso questo dionisiaco, questa esuberanza”.
Nello spettacolo lei non ha paura di mettersi a nudo e racconta tratti personali che si intrecciano alla narrazione. Lo spettacolo sembra anche molto ‘liberatorio’ per gli stessi attori e per lei: quanto, dal suo punto di vista, fare teatro e scrivere per il teatro aiutano a vivere meglio?
“Non mi piace la parola ‘terapeutico’ associata al teatro, tuttavia è chiaro che mettere qualcosa di sé, dei propri dolori, umori o inquietudini su un palcoscenico è un privilegio che noi attori abbiamo e che ci serve a vivere meglio. Dopodiché, il teatro da sempre contiene in sé la catarsi e dunque questo è uno spettacolo in cui la catarsi avviene, come dovrebbe essere sempre a teatro per noi e per gli spettatori”.
In occasione di Perfetta, scritto e diretto da Mattia Torre, con Geppi Cucciari, in scena per La Stagione dei Teatri 2024/2025 venerdì 22 e sabato 23 novembre 2024 alle 21:00 e sabato 12 alle ore 21:00 e domenica 13 aprile 2025 alle ore 15:30 al Teatro Alighieri, un approfondimento a cura di Federica Ferruzzi.
Mattia Torre è stato autore teatrale, sceneggiatore e regista. Con Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo ha scritto la serie tv Buttafuorie, dal 2007, la prima, la seconda (in cui è stato anche co-regista) e la terza stagione di Boris. Con gli stessi autori ha scritto e diretto Boris – Il film. Nel 2014 ha firmato la realizzazione del film Ogni maledetto Natale. Nel 2015 ha scritto con Corrado Guzzanti la serie tv Dov’è Mario?. Nel 2017 è stato autore della serie tv La linea verticale dalla quale trae il romanzo omonimo (Baldini+Castoldi). Nel 2019 sono usciti per Mondadori i “sette atti comici” In mezzo al mare. Ricchissima la produzione per il teatro di cui, fra gli altri, fa parte anche Perfetta. Nel 2021 ha vinto il David di Donatello per la migliore sceneggiatura originale del film Figli.
Rispetto al libro da cui è stata estratta Perfetta, Alessandro Ferrucci, sul Fatto Quotidiano, ha affermato: “Vorrei che le persone leggessero In mezzo al mare, la raccolta dei suoi sette atti comici. Ad un certo punto Torre scrive: ‘Sei un pezzo di un grande ingranaggio, e siccome siamo in Italia, l’ingranaggio è vecchio, arrugginito e si muove a fatica. D’altra parte, il tuo cuore non è mai stato così grande’. Questo era lui”.
Per raccontarlo abbiamo deciso di scegliere alcune delle parole che Mattia Torre ha affidato a Graziano Graziani in un’intervista del 14 giugno realizzata a Rai Radio 3 per Fahrenheit e pubblicata interamente sul sito Il Tascabile.
Come nasce la scrittura per il teatro di Mattia Torre?
In realtà nasce casualmente. Ho sempre avuto un grande desiderio di scrivere, lo facevo già dall’adolescenza. Scrivevo, in realtà, cose orribili, ma lo facevo con grande ostinazione. Poi, il mio amico e collega Giacomo Ciarrapico – che all’epoca studiava al centro sperimentale, faceva recitazione – decise che era un “cane”, che non era proponibile come attore, e quindi mi propose di scrivere un testo insieme. Per me era una follia, perché non avevamo esperienza, e invece lui bloccò il teatro e questo ci costrinse ad andare in scena, con una compagnia che formammo al tempo, partendo da un copione che – forse proprio grazie alla data di scadenza, al fatto che dovevamo per forza andare in scena – risultò essere un copione felice. Ed era la prima volta che coniugavamo la comicità a servizio di un contenuto, che è quello che abbiamo poi sempre cercato di fare. Così a questo spettacolo ne è seguito un altro, poi un altro ancora, finché nel 2000 mi sono lanciato nel mio primo monologo. Che era un po’ un azzardo, perché cercare di tenere l’attenzione su un solo personaggio e su un solo racconto era per me un territorio nuovo. Ma lo spettacolo andò molto bene e a me piacque tantissimo, così ho continuato sulla strada dei monologhi, alternando quella scrittura ad altre forme, come la sceneggiatura di Borise altre cose che abbiamo realizzato per la televisione o per il cinema. A pensarci bene l’approccio è stato sempre molto simile: cercare di raccontare dei pezzi della nostra realtà, del nostro paese. Che fosse teatro, una serie televisiva oppure un film, l’atteggiamento di base era più o meno lo stesso. Magari cambiano le forme, i criteri di produzione, però quell’approccio iniziale io lo continuo sempre a cercare.
Azzardo, da amante del teatro, una differenza di approccio. Nella scrittura teatrale forse c’è più spazio per andare a fondo nei sentimenti profondi dei personaggi. Come avviene in In mezzo al mare, monologo che segna l’inizio della complicità con Valerio Aprea, o in Migliore, che invece dà il via alla collaborazione con Valerio Mastandrea. Il primo racconta della difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo, il secondo tratteggia la situazione beffarda di un uomo che più si comporta bene e più viene bastonato dalla vita, mentre quando sceglie di essere egoista e di sopraffare gli altri comincia ad ottenere tutto.
In effetti Migliore racconta una storia molto amara, in realtà. Il fatto che si ridesse così tanto ci preoccupava, però incarnava proprio quel tipo di ambiguità che volevamo proporre al pubblico. La gente finisce per riconoscersi, empatizzare e addirittura tifare per dei mostri che però, per motivi ancestrali, hanno una qualche presa su di noi.
In effetti, i tuoi personaggi a volte incarnano una “mostrificazione” ma, nonostante questo, continuano a somigliarci parecchio. Ad esempio Gola scende davvero in profondità in un grande vizio degli italiani.
È vero, Golaè inesportabile. È una strana creatura, nata per caso, per una piccola rassegna teatrale al teatro Ambra Jovinelli. Poi è diventato il mio testo più rappresentato in assoluto. Lo hanno fatto attori e attrici, e persino cantanti: l’ho visto fare da Fiorella Mannoia all’Auditorium. Tante versioni, molto diverse e tutte bellissime. Anche in quel caso c’è una sorta di approccio sociologico: cercavo di porre lo sguardo su una serie di cose che facciamo, che ormai abbiamo assimilato e di cui non ci rendiamo conto. E poi c’è la volontà di raccontare il mondo attorno a noi, che viviamo in un paese così complesso, e raccontare le emozioni che ci suscita.
Gola ha anche una comicità molto accentuata, che non è solo qualcosa che si attiva dal vivo, grazie alla bravura dell’attore. Anche nella lettura, la comicità della tua scrittura resta intatta. E questa è una cosa a tratti straordinaria perché quasi sempre leggere il teatro è difficile, quasi ostico, una cosa per amatori che sanno intravedere come poi saranno le parole sulla scena. I tuoi “sette atti comici”, raccolti nel libro Mondadori, conservano la loro potenza anche sulla pagina, contravvenendo a questa regola del teatro.
Per fortuna, perché sennò il libro sarebbe nei guai! Ovviamente abbiamo presentato i sette atti comici come dei racconti, ma il riscontro c’è, perché il libro è stato accolto come un’operazione di narrativa. La definizione di “sette atti comici” mi fa sorridere, è una scelta che abbiamo inserito per controbilanciare la cupezza della copertina, che abbiamo voluto molto sobria ed elegante, ma allo stesso tempo volevamo che si percepisse che si tratta di un libro divertente, non serioso né plumbeo.
(…)
Figli va a pescare nella tua storia personale. La tua biografia è un motore importante per te?
Nel caso di Figlidevo ammettere che l’esperienza personale è servita per la conoscenza della materia. È sempre utile, in scrittura, sapere bene di che cosa si parla. Quando l’ho scritto la prima volta l’ho trovato molto amaro e un po’ mi vergognavo, perché non volevo dare un segnale così disfattista e cupo. Poi invece mi sono reso conto che c’era stata un’adesione vasta e istintiva, che mi ha molto stupito. Effettivamente è un tema che non riguarda solo il singolo, ma racconta anche delle enormi difficoltà del nostro tempo e del nostro paese, l’Italia, dove le famiglie non sono molto aiutate. Un secondo figlio, per quanto possa suonare strano paragonarlo ad una “bomba”, in questo contesto può essere la cosa che fa deflagrare tutto. E questa è una dimensione tragicomica, perché c’è un lato difficile ma, poiché le cose si possono leggere attraverso tante chiavi, c’è sicuramente una chiave comica potente.
(…)
Quanto sono stati importanti per te gli incontri, le persone con cui hai collaborato?
Sono stati fondamentali. Soprattutto nei monologhi, perché in quel caso l’attore è tutto. Le mie regie sono sempre molto essenziali: ci sono le musiche e le luci, che hanno una funzione molto importante, ma tutto il resto è nelle mani dell’attore. Io lavoro molto sull’agilità, sull’assenza di orpelli o di strumenti inutili. È tutto nel testo e nell’attore. E quindi all’attore è demandato un lavoro enorme e gli attori che hanno lavorato con me hanno sempre aggiunto qualcosa di essenziale. Io stesso ho imparato con loro come dirigere un singolo attore in scena, cosa non facile. È stato un processo virtuoso. Io agli attori devo moltissimo. Per altro, poiché provengo da una dimensione di compagnia, per me la condivisione con gli attori è la prima cosa e la più importante. È quella che può innescare un processo molto bello.
(…)
I sette atti comici hanno tematiche diverse, ma c’è qualcosa che li accomuna: un certo gusto per l’iperbole. Si parte da un dato, spesso molto quotidiano e vicino a noi, ma il ragionarci sopra, lo svisceramento di quel pensiero, porta a delle vette iperboliche molto comiche ma altrettanto amare. Qual è la scintilla, l’innesco, per la scrittura di un tuo pezzo?
Questa è una questione molto interessante, perché il fenomeno delle digressioni è affascinante ma anche pericolo, dato che può appesantire il testo. Io tendo spesso a sviare dal racconto, ad aprire delle bolle che poi mi capita spesso di tagliare, perché altrimenti rischierei di fare spettacoli di sole digressioni, che non procedono mai. D’altra parte credo che una delle abitudini più interessanti della scrittura, quando è praticata nel tempo, è quella di saper individuare nella realtà cosa è sviluppabile, cosa può essere interessante da raccontare e declinare in chiave comica o tragicomica. Ci sono alle volte cose che all’inizio sembrano divertentissime, poi però andando avanti non funzionano (o non le sai far funzionare tu), e altre cose che invece esplodono, per le quali avverti già da subito la possibile empatia del pubblico. Però è vero, la digressione può essere molto potente, ed è qui che risiede la grande libertà della scrittura, che a teatro è ancora più forte, perché ci ritroviamo in una dimensione molto più autarchica, dove non hai praticamente nessuno ostacolo, ad esempio produttivo; quindi puoi fare davvero quello che vuoi. Semmai bisogna imparare a contenerla un po’, questa libertà.
I tuoi testi hanno fatto un viaggio dal teatro alla pagina scritta. Questo ha significato rimaneggiarli? E anche nelle messe in scena come fai, tendi a riscrivere i tuoi testi, a cesellarli di volta in volta?
Questo è un lavoro che, in realtà, tendo a fare prima che lo spettacolo vada in scena. Ho una rosa di lettrici e lettori molto severi, a cui faccio leggere il testo quando è pronto: a seconda delle reazioni cerco di capire se sto andando sulla strada giusta. Una volta mi sono ridotto talmente all’ultimo, e mi sono ritrovato a fare dei periodi immersivi nella scrittura, che alla fine non capivo più nulla. A quel punto se qualcuno mi avesse detto “guarda, non ci siamo”, penso che avrei buttato tutto. Comunque sia avere il primo ok di queste persone, a partire da mia moglie, è per me già un passo importante. Poi torno sul testo e scendo molto nel dettaglio, lavoro maniacalmente anche sulle singole virgole, perché quando arriva il giorno della prima deve essere tutto perfetto.
Un nuovo percorso da Porto Corsini, Marina di Ravenna, Punta Marina, Lido Adriano e Porto Fuori per la Stagione 2024-2025
Da diversi anni Ravenna Teatro offre ai residenti delle Circoscrizioni Nord e Sud del Comune di Ravenna e dei Comuni di Alfonsine e Voltana, l’opportunità di assistere agli spettacoli de La Stagione dei Teatri usufruendo di un servizio di trasporto gratuito.
Dal risvolto sia pratico che sociale, il servizio vuole coinvolgere una fascia di età eterogenea con un particolare pensiero agli studenti. Ogni viaggio sarà occasione di incontro tra cittadini accomunati dalla passione per il teatro, che saranno accompagnati da una presentazione dello spettacolo.
Per la prima volta quest’anno il servizio comprende anche Porto Corsini, Marina di Ravenna, Punta Marina, Lido Adriano e Porto Fuori.
L’abbonamento conta 8 appuntamenti:
Geppi Cucciari Perfetta, Marco Martinelli, Marco Cacciola Lettere a Bernini, Gianni Fantoni Fantozzi. Una tragedia, Andrea Pennacchi, Marco Baliani Arlecchino?, VicoQuartoMazzini La ferocia, Elio De Capitani Moby Dick alla prova, Teatro Sotterraneo L’angelo della storia, Renato Carpentieri Sarabanda.
Gli spettacoli iniziano alle ore 21:00. Orari e fermate sono da concordare in base alle adesioni. Il costo dell’abbonamento è di 146 € (per gli under26 50 €).
Di seguito le date e i percorsi:
LINEA CIRCOSCRIZIONI NORD, ALFONSINE E VOLTANA
LINEA LIDI E PORTO FUORI
Marco Martinelli, Marco Cacciola Lettere a Bernini Linea circoscrizioni nord, Alfonsine e Voltana giovedì 5 dicembre Linea Lidi e Porto Fuori martedì 10 dicembre
La Stagione dei Teatri ’24/’25 si presenta alla città: tradizione e contemporaneo si incontrano per mettere in vita nuove sfide
Tra prime nazionali e nuovi protagonisti, sono una ventina gli spettacoli che animeranno la Stagione; è possibile abbonarsi fino al 4 novembre.
È stato presentato ufficialmente alla città, sabato 28 settembre, il cartellone de La Stagione dei Teatri, organizzato da Ravenna Teatro in collaborazione con l’Amministrazione comunale, che sarà ospitato nei due teatri cittadini, il Rasi e l’Alighieri. Nel corso della mattinata sono intervenuti due dei protagonisti che ritroveremo anche in Stagione: l’attore e regista Marco Baliani, che in febbraio porterà lo spettacolo Arlecchino?, con Andrea Pennacchi, e la regista Licia Lanera, che per la prima volta metterà in scena Altri Libertini dell’indimenticato Pier Vittorio Tondelli.
La nuova Stagione dei Teatri sarà caratterizzata da affondi in una tradizione rivisitata, come nel caso del già citato Arlecchino? e di Moby Dick alla prova, quest’ultimo firmato dal regista Elio De Capitani, considerazioni sul tema del lavoro, introdotte dal ragioniere più famoso d’Italia, Ugo Fantozzi, qui impersonato dal comico Gianni Fantoni, riflessioni sull’essere donna, ieri come oggi, proposte da Marta Cuscunà, Geppi Cucciari, Concita De Gregorio, Maša Pelko e Chiara Lagani, introspezioni nell’animo umano fornite dal lavoro di Nicola Lagioia – che dà il titolo allo spettacolo della compagnia VicoQuartoMazzini, La ferocia – così come avviene in Via del popolo o, ancora, in Manson, spettacolo di Fanny & Alexander con Andrea Argentieri. La prossima Stagione sarà inoltre arricchita dal nuovo lavoro ideato da Marco Martinelli e Ermanna Montanari e dedicato alla figura di Gian Lorenzo Bernini, che porterà con sé occasioni di incontro e approfondimento lungo il mese di dicembre con giornalisti e studiosi. In questo ambito si colloca lo spettacolo di Alberto Giorgio Cassani su Leon Battista Alberti con Gianfranco Tondini.
La formula dell’abbonamento prevede sei titoli fissi e due a scelta sui quattordici disponibili. Sarà possibile sottoscrivere l’abbonamento alla Stagione teatrale creando un proprio percorso entro il 4 novembre. I prezzi non hanno subito variazioni. Grande attenzione continuerà ad essere riservata anche a chi ha meno di 26 anni, che potrà usufruire di abbonamenti a prezzi ridotti.
“Mai come in questo periodo storico – sottolineano i due co-direttori di Ravenna Teatro, Alessandro Argnani e Marcella Nonni – riteniamo ci sia bisogno di una cultura intesa come rito collettivo, come antidoto ad una quotidianità sempre più sopraffatta dalla contingenza. Il nuovo Cartellone che presentiamo alla città contiene titoli e protagonisti in grado di affrontare i grandi temi dell’oggi, lasciando spunti di riflessione utili per ridisegnare nuove traiettorie”.
I sei spettacoli fissi, programmati al Teatro Alighieri, sono: Perfetta, un testo di Mattia Torre interpretato da Geppi Cucciari, che ricorda quanto il ciclo mestruale influenzi la vita delle donne; Lettere a Bernini, il nuovo lavoro del regista ravennate Marco Martinelli sul maggiore esponente dell’arte figurativa barocca, Gian Lorenzo Bernini;Fantozzi. Una tragedia, con la regia di Davide Livermore che guida sulla scena Gianni Fantoni per immortalare il ragioniere più famoso d’Italia; Arlecchino? uno spettacolo di Marco Baliani, con protagonista Andrea Pennacchi, che racconta di un’Italia piena di contraddizioni; Moby Dick alla prova, spettacolo di Elio De Capitani che si rifà all’adattamento di Orson Welles del romanzo di Melville; L’angelo della storia, un testo di Teatro Sotterraneo che trae spunto dall’ultimo lavoro di Walter Benjamin e che rappresenta la metafora del progresso che avanza. A margine di ognuno degli spettacoli fissi, fatta eccezione per Perfetta, seguirà, il sabato successivo all’andata in scena, il tradizionale incontro delle 18:00 alla Sala Corelli del Teatro Alighieri.
Nella rosa dei titoli che compongono gli spettacoli a scelta compaiono invece Altri libertini, tratto dall’omonimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli, con la regia di Licia Lanera e la presenza, tra gli altri, dell’attore delle Albe Roberto Magnani; Impronte dell’anima, in omaggio alla giornata della memoria; i due progetti di Fanny & Alexander dal titolo Manson e Maternità; lo spettacolo Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, che vede in scena la giornalista Concita De Gregorio e la cantautrice Erica Mou; Fratellina, vincitore del Premio Le Maschere del Teatro 2023 come miglior spettacolo; Via del popolo, di e con Saverio La Ruina; Five Kinds Of Silence, della regista slovena Maša Pelko che affronta il dramma della violenza familiare; My Body Solo, uno spettacolo prodotto da Nanou; Mulinobianco. Back to the green future, una riflessione di Babilonia Teatri sull’ambiente; La ferocia, tratto dall’omonimo capolavoro di Nicola Lagioia; Voodoo, con Eleonora Sedioli di Masque Teatro; La semplicità ingannata. Satira per attrici e pupazze sul lusso di essere donne, in cui Marta Cuscunà si interroga sulla condizione femminile prendendo spunto dalla resistenza attuata dalle monache del convento di Santa Chiara di Udine nel ‘500. Chiude il cartellone lo spettacolo Sarabanda, ispirato all’opera di Ingmar Bergman.
Si segnala, infine, l’evento speciale di sabato 18 gennaio, quando, alle 21:00, il Teatro Rasi accoglierà lo spettacolo Mangiare tutto! dell’ex concorrente di Masterchef Nicolò Califano, scritto da Califano insieme all’autore ravennate Matteo Cavezzali.
PRESENTAZIONI ITINERANTI
Come lo scorso anno, nel mese di settembre sono iniziate le presentazioni itineranti: studi professionali, dipartimenti universitari, sedi di associazioni, scuole, case di privati e centri di aggregazione dal cuore della città alla periferia ospiterano, fino a fine ottobre, il racconto degli spettacoli in Cartellone.
IN VIAGGIO VERSO IL TEATRO
Anche quest’anno Ravenna Teatro torna ad offrire ai residenti delle Circoscrizioni Nord e Sud del comune di Ravenna e a quelli del comune di Alfonsine e di Voltana l’opportunità di recarsi a teatro usufruendo di un servizio di trasporto gratuito. Si tratta di un progetto molto caro al pubblico di ogni età, dai giovani agli anziani, che permette di spostarsi gratuitamente in orario serale e di essere riaccompagnati al termine dello spettacolo (abbonamento più servizio di trasporto 146 euro / under 26 50 euro). Novità di quest’anno, il viaggio si aprirà ai lidi ravennati – da Marina di Ravenna a Punta Marina a Lido Adriano – fino alla frazione di Porto Fuori.
CONCORSO PER LE SCUOLE
Anche nella Stagione ’24-’25 tornerà il consueto concorso rivolto alle scuole. La proposta è quella di recensire uno o più spettacoli in calendario attraverso linguaggi congeniali ad alunni e alunne (dalla creazione di un testo scritto alla realizzazione di un video). Una giuria qualificata assegnerà il primo premio alla classe vincitrice, che avrà la possibilità di partecipare ad un viaggio alla scoperta di realtà italiane che presentano percorsi simili a quelli di Ravenna Teatro. Questo aspetto si legherà al progetto IN VIAGGIO CON RAVENNA TEATRO – un itinerario alla scoperta di realtà che condividono valori simili a quelli di questo Centro di Produzione – che quest’anno porterà a visitare, in primavera, la città di Lecce, Teatro Koreja e altri luoghi d’arte e di teatro.
Numerose le collaborazioni che proseguono anche quest’anno su fronti diversi: nell’ambito della formazione si rinsalda il rapporto con Fondazione Flaminia e crescono i progetti costruiti insieme al MAR, Museo d’arte della città di Ravenna, all’istituto superiore di studi musicali Giuseppe Verdi e all’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Sempre in ambito cittadino, continuano le collaborazioni con associazioni di categoria e di volontariato, come Avis, e con realtà private quali ad esempio Fondazione Sabe o il ristorante Al Passatore. Da quest’anno Ravenna Teatro ha poi stretto nuove collaborazioni con partner diversi: un percorso è stato avviato con Cgil sui temi del lavoro, in occasione dello spettacolo Fantozzi. Una tragedia, così come è stato stretto un rapporto con Cbr consulenze sul titolo Moby Dick alla prova di Elio De Capitani. Camst, cooperativa San Vitale, l’Albergo del Cuore e Il Solco saranno invece coinvolti sul progetto di Teatro la Ribalta, Impronte dell’anima, nell’ambito di iniziative legate alla Giornata della Memoria. Si rinnova, infine, la collaborazione con il Centro Diego Fabbri di Forlì, che rende il teatro accessibile anche a non vedenti e a ipovedenti. Si ringraziano Cometha, Nuova OLP, Scotto Shipping e Romagna Acque, realtà locali da sempre vicine a Ravenna Teatro. Si ricorda che da quest’anno il bar del Teatro Alighieri aprirà alle ore 20:00 per dare modo a spettatrici e spettatori di fermarsi per un periodo più lungo prima dell’inizio degli spettacoli.
ABBONAMENTI
È possibile rinnovare o acquistare l’abbonamento fino a lunedì 4 novembre.
L’abbonamento conta 8 appuntamenti 6 titoli fissi: Perfetta, Lettere a Bernini, Fantozzi. Una tragedia, Arlecchino?, Moby Dick alla prova, L’angelo della storia 2 titoli a scelta tra:
Altri libertini, Impronte dell’anima, Manson, Maternità, Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, Fratellina, Via del popolo, Five Kinds Of Silence, My body solo, MulinoBianco, La ferocia, Voodoo, La semplicità ingannata, Sarabanda
Fino a lunedì 4 novembre
Platea e palco I, II e III ordine Teatro Alighieri, I settore Teatro Rasi
intero 165 €, ridotto* 146 €, under26 50 €, Ti presento i miei (under20+genitore) 167 €
Galleria e palco IV ordine Teatro Alighieri, II settore Teatro Rasi
intero 113 €, ridotto* 103 €, under26 40 €, Ti presento i miei (under20+genitore) 122 €
Loggione Teatro Alighieri, II settore Teatro Rasi
intero 55 €, under26 38 €
BIGLIETTI
I biglietti sono in vendita da sabato 9 novembre presso il Teatro Alighieri; telefonicamente con carta di credito o Satispay; su questo sito; presso le agenzie de La Cassa di Ravenna Spa e Iat Ravenna. Il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sul prezzo del biglietto.
Prezzi e modalità di acquisto su BIGLIETTERIA.
Teatro Alighieri
Platea e palco I, II e III ordine intero 26 € ridotto* 22 € under26 10 €
Galleria e palco IV ordine intero 18 € ridotto* 16 € under26 10 €
Loggione intero 9,00 € under26 6 €
Perfetta
Platea e palco I, II e III ordine 40 €
Galleria e palco IV ordine 35 €
Loggione 20 €
*Cral aziendali, gruppi organizzati, docenti, oltre i 65 anni, TCI Touring Club Italiano, soci Coop Alleanza 3.0, Esp Club Card, soci Credito Cooperativo, Arci, Ali Intesa Sanpaolo, Avis, Amici di RavennAntica, Capit, Assicoop, Confcooperative, Coldiretti, Cna, Legacoop, Stadera, Unipol e Euro Company.
Tutte le informazioni sui vantaggi e le promozioni per gli abbonati, Cral aziendali, gruppi organizzati e gruppi scolastici, Ti presento i miei e il servizio di trasporto gratuito per gli spettatori del forese, Alfonsine e Voltana sono pubblicate su CONVENZIONI
La seconda anta del progetto triennale (2023-2025) che i due direttori artistici delle Albe, Ermanna Montanari e Marco Martinelli, dedicano all’opera-mondo di Cervantes, continua nel solco del Cantiere Malagola, che porta avanti l’eredità del Cantiere Dante che dal 2017 al 2022 ha coinvolto migliaia di cittadini nella messa in scena delle cantiche della Divina Commedia. Dopo la prima anta, che parte e si sviluppa negli spazi dell’omonimo Palazzo Malagola, sede del Centro di ricerca vocale e sonora fondato e diretto proprio da Montanari insieme a Enrico Pitozzi, la seconda toccherà quest’anno il Palazzo di Teodorico e proseguirà con la processione degli “erranti”che fuggono dal rogo dei libri, l’episodio con cui si è conclusa, lo scorso anno, la prima anta. I maghi (Hermanita e Marcus, alias Ermanna Montanari e Marco Martinelli), insieme agli erranti e alle maschere (Don Chisciotte, Dulcinea, Sancio, alias Roberto Magnani, Laura Redaelli e Alessandro Argnani) arrivano alle rovine di un “palazzo”: passano attraverso un corridoio di muri e accedono a un prato. Lì i due maghi e le maschere si ispirano alla “schiava di Algeri”, novella centrale nella polifonia del romanzo di Cervantes, che da Martinelli e Montanari viene riletta alla luce della più bruciante attualità. Anche in questa parte, si pone l’accento sulla relazione articolata e drammatica tra realtà e sogno.
Spiegano Montanari e Martinelli: “Si tratta ogni volta di ‘mettere in vita’ un classico e, al contempo, di ‘mettere in scena’ Ravenna: negli anni Dante ha passato il testimone a Cervantes, la prima ‘Chiamata pubblica’ è avvenuta nel 2016, ma l’entusiasmo delle cittadine e dei cittadini nella creazione corale è rimasto immutato, segno che il teatro mantiene la sua forza dirompente quando, alla verticalità solitaria dell’arte, sa intrecciare l’orizzonte plurale dei corpi”.
“Ogni anno con le Albe – dichiara Franco Masotti, direttore artistico del Ravenna Festival – si rinnova un’avventura che coinvolge, grazie a una sapienza e a una capacità collaudata nel corso di tanti anni di lavoro, tutta la città: sia i suoi luoghi, anche i più segreti e appartati come quest’anno il Palazzo di Teodorico, sia i cittadini che rispondono, fedeli e sempre entusiasti, alla ‘Chiamata pubblica’. Arte e cittadinanza, un binomio che diventa ancora una volta protagonista trovando sempre nel Ravenna Festival il suo immancabile ‘compagno di strada’”.
Commenta Andrea Sardo, direttore dei Musei nazionali di Ravenna: “Sono sinceramente soddisfatto di questa opportunità di partecipazione alla vita culturale della città. Il Palazzo, che insieme alla Basilica di Classe, al Battistero degli Ariani, al Mausoleo di Teodorico e al museo nazionale, è parte del nuovo istituto autonomo dei Musei nazionali di Ravenna, con la sua enigmatica suggestione mi pare davvero una perfetta quinta scenica che aggiunge al geniale percorso drammaturgico la storicità evocativa del luogo teodoriciano, così cara ai ravennati”.
Prosegue Sandra Manara, direttrice del sito del Palazzo di Teodorico: “Siamo contenti di aprire, ancora una volta, le porte del Palazzo alla città di Ravenna. In passato, con le rassegne ‘Musica a Palazzo’, avevamo fatto conoscere questo gioiello dimenticato attraverso i giovani allievi degli istituti musicali, mentre quest’anno e il prossimo saranno due artisti pluripremiati, con il loro Teatro delle Albe, e insieme a Ravenna Festival, a farlo vivere con centinaia di cittadine e cittadini che hanno dimostrato grande partecipazione e senso di appartenenza”.
Anche quest’anno il progetto vedrà la partecipazione, insieme alle cittadine e ai cittadini di Ravenna, di “tribù” (gruppi composti da ragazzi e ragazze che hanno partecipato a laboratori di non-scuola) non solo da diverse parti d’Italia, da Torino a Matera a Lecce, ma anche dall’estero, ad esempio da Pristina e da Londra.
Il percorso drammaturgico, vocale e sonoro, vedrà, oltre ai cittadini e alle cittadine della Chiamata Pubblica, gli attori delle Albe insieme a Martinelli e Montanari. In scena ci saranno Alessandro Argnani, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Laura Redaelli, Marco Saccomandi. Guide saranno Cinzia Baccinelli, Alice Billò, Vittoria Nicita, Marco Saccomandi, Marco Sciotto e Anna-Lou Toudjian.
Le musiche sono state composte e saranno eseguite dal gruppo Leda: Serena Abrami, voce/synth; Enrico Vitali, chitarre; Fabrizio Baioni e Paolo Baioni, batteria/impulsi e segnali metallici; Giorgio Baioni, basso. Sound design Marco Olivieri, disegno dal vivo Stefano Ricci, spazio scenico Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi, Matilde Grossi; costumi Federica Famà, Flavia Ruggeri; disegno luci Luca Pagliano, Marcello Maggiori; direzione tecnica Luca Pagliano, Alessandro Pippo Bonoli e Luca Fagioli.
In occasione de Diario di Pinocchio 20202065, in scena per La Stagione dei Teatri 2023/2024 martedì 23 aprile alle 21:00 al Teatro Rasi, Federica Ferruzzi ha intervistato Roberto Corradino.
Si intitola Pinocchio 20202065 lo spettacolo che l’attore e regista Roberto Corradino ha scelto di portare al Rasi di Ravenna, nell’ambito de La Stagione dei Teatri, martedì 23 aprile, alle 21:00. Uno spettacolo con cui l’attore pugliese intende fare luce su un personaggio caro all’infanzia, Pinocchio, analizzandone però un aspetto di cui non si sa nulla, ovvero la vita adulta.
Corradino, partiamo dal titolo: cosa significa quel numero?
“Rappresenta un enigma di cui non vorrei dire molto, dal momento che il pubblico è chiamato a risolverlo durante la performance. È un numero in codice, così come in codice è la drammaturgia”.
Come nasce Pinocchio 20202065?
“La domanda che mi sono posto e che sta alla base di questo spettacolo è ‘Cosa sappiamo davvero di Pinocchio, quando da burattino diventa un bambino vero?’ Fondamentalmente nulla, per cui lo spettatore è chiamato a sciogliere un enigma che si disvelerà ai camminanti a fine spettacolo”.
Camminanti?
“Sì. Ad un certo punto gli spettatori sono chiamati a camminare per andare letteralmente alla ricerca di risposte nell’ambito di un percorso in cui Pinocchio diventa prima umano, poi artista. Qui ci occupiamo di quello che la storia di Pinocchio non racconta e lo spettatore diventa parte attiva del processo di conoscenza di una biografia che, ovviamente, è immaginaria”.
Come sarebbe oggi Pinocchio?
“È proprio quello che vorrei descrivere, e per farlo ho immaginato una sorta di museo della memoria. Oggi Pinocchio avrà figli? Si sarà sposato?”.
Perché si è concentrato proprio su questa figura?
“Perché io sono Pinocchio. Da un lato volevo sottolineare che questo personaggio è un archetipo, un grande mito, dall’altro volevo analizzare il fenomeno di un’adolescenza sempre più prolungata, l’incapacità di accedere in modo adulto al mondo adulto”.
Cos’è il teatro per Roberto Corradino?
“Il teatro è una grande possibilità per vivere in modo pieno, modalità che è propria del fuoco, del rischio, ma è anche un’opportunità per trovare salvezza. Il teatro è il gioco più antico dell’uomo, non ha una vera utilità, ma serve per riaffermarsi in quello che si è. È qualcosa di sempre in movimento verso possibilità inimmaginate”.
Uno spettacolo che il regista Luca Ricci firma insieme a Lucia Franchi, con cui dà vita, dal 2003, alla Compagnia CapoTrave, che produce proprie drammaturgie originali indagando i temi dell’attualità sociale dal punto di osservazione della provincia italiana. In scena protagonisti d’eccezione quali Giorgio Colangeli, attualmente candidato ai David di Donatello per il film di Paola Cortellesi, Antonella Attili, che abbiamo visto in Nuovo cinema Paradiso e, di recente, ospite del programma Propaganda Live di Diego Bianchi su La 7, e Federica Ombrato, in teatro diretta da Rifici, al cinema invece con Bellocchio.
Gli affari politici di una piccola realtà di provincia sono il cuore di questo spettacolo, che mette a nudo un modo di procedere scorretto, ma diffuso. Il tema è anche nelle cronache di oggi, cosa vi interessava sottolineare?
“Senza dubbio questo è l’aspetto centrale del lavoro: il punto di osservazione della provincia diventa una sorta di lente di ingrandimento per analizzare abitudini e costumi molto diffusi nel nostro Paese. Il tono è da commedia, è un lavoro in cui si ride, si ride molto, ma il tentativo che facciamo è anche quello di strozzare la risata in gola. In realtà non c’è niente da ridere di fronte a questo malcostume dilagante. Il nostro obiettivo, come autori, è anche quello di perseguire una sorta di liberazione, scrivere diventa terapeutico, ci liberiamo di cose che non ci vanno giù. La scrittura deve nascere da qualcosa che brucia, e allora pensiamo possa toccare corde che risultino interessanti anche per altri. Questo può stimolare una reazione, può, ad esempio, farci prendere atto che siamo tutti un po’ colpevoli rispetto a questi atteggiamenti. È un leggero scivolare verso un accomodamento reciproco, scagli la prima pietra chi non l’ha mai fatto in vita sua”.
Per presentare lo spettacolo siete ricorsi ad una frase di Sciascia: I grandi guadagni fanno scomparire i grandi principi, e i piccoli fanno scomparire i piccoli fanatismi Quali sono, qui, i piccoli fanatismi?
“Qui il fanatismo è quello di una giovane donna che si occupa di linguaggi del contemporaneo, che ha vissuto a Rotterdam, una città moderna e dinamica, ma che, tornata al paese, attua principi moraleggianti verso una generazione di padri che hanno rubato ed esaurito le risorse di cui ora sente la mancanza. È mossa da un intento anche nobile, ma alla fine scadrà nel fanatismo così come il sindaco, che per salvare un reparto ospedaliero si dimostrerà disposto a tutto. Allo stesso modo la madre, dirigente sanitaria, animata dalla volontà di non muovere troppo l’esistente, si dimostrerà capace di passare sopra la figlia pur di non sfigurare. Tre fanatismi che si incontrano in una situazione apparentemente molto tranquilla, che invece farà esplodere gli appetiti”.
A funzionare è anche la scelta dei protagonisti: cosa avete privilegiato nella selezione?
“Io e Lucia quasi mai scriviamo pensando a qualcuno. A volte è successo, ma non è la prassi. Le nostre ossessioni continuano a rimanere le storie, i contenuti, gli intrecci. In questo caso si è trattato di un incontro particolarmente fortunato perché Giorgio Colangeli e Antonella Attili sono due persone di grande generosità e professionalità, due qualità per nulla scontate. Ad esempio Colangeli, tutte le sere prima di andare in scena ripete la parte, la affina, regalandoci una bella lezione di vita. Federica Ombrato è stata un ‘innesto’ felice: è entrata per una sostituzione e ha spostato l’energia dello spettacolo in uno spazio inesplorato, è stata un’ulteriore ventata di freschezza”.
Il titolo, chiaramente, rimanda all’idea di astuzia: questi tre personaggi lo sono?
“Sì, senza dubbio: sono tre persone che, come dire, mettono in piedi una trama avvolgente, una tessitura, gli uni nei confronti degli altri per arrivare ai propri scopi. C’è inoltre un riferimento a Ben Jonson, un grande intellettuale, contemporaneo di Shakespeare per il quale nutriva una forte ammirazione. Scrisse Volpone, dove il personaggio centrale mette in piedi trame oscure e basate sulla furbizia per raggiungere i propri scopi. Per me l’aggettivo furbo non sempre ha valenza negativa, come dimostra il servo della commedia dell’arte che sarà protagonista del nuovo spettacolo: la sua furbizia non nasce da uno studio, bensì dalla pratica. Quello che cerchiamo di fare è scrivere testi in cui lo spettatore si immedesimi, quindi il risvolto oscuro arriva dopo: per tre quarti dello spettacolo la furbizia non si avverte, anzi si sopporta. Una spettatrice dopo una replica mi disse: ‘Colangeli è talmente affabile che gli daresti ragione anche quando dice cose assolutamente deprecabili’. Ecco, è esattamente questo l’obiettivo che volevamo raggiungere”.
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