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Un museo per riscoprire Pasolini e esplorare il ‘900

LA STAGIONE DEI TEATRI 2022-2023

 

L’affabulatore romano Ascanio Celestini è il protagonista di Museo Pasolini, spettacolo che rappresenta una sorta di affresco dell’Italia del secondo Novecento tracciato attraverso le tante e diverse opere che l’intellettuale bolognese ci ha lasciato. Qui di seguito un suo video e un’intervista a cura di Federica Ferruzzi.

 

Celestini, qual è l’immagine dell’Italia che emerge da questo lavoro? Cosa ci dice, di noi e del Paese?

“Vincenzo Cerami ha detto: ‘se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini, dalla prima poesia che scrisse quando aveva 7 anni fino al film Salò, e la ordiniamo secondo cronologia, avremo il ritratto, il disegno della storia italiana dalla fine degli anni del fascismo fino alla metà degni anni ’70. Pasolini ci ha raccontato cosa è successo nel nostro paese in tutti questi anni’. Io non ho fatto altro che accostare la sua opera a quello che accadeva in Italia in quel determinato periodo. Ad esempio, mi sono chiesto: cosa succedeva, in Italia, quando usciva al cinema Accattoni? E verificavo che in quegli anni si andava verso i primi governi di centro sinistra. Un modo per leggere la storia attraverso il punto di vista di una persona particolarmente preparata e anche un po’ folle. Ritengo sia uno sguardo più interessante rispetto a quello degli storici, che fanno una cernita più scientifica che emotiva”.

Al di là della celebrazione dei cento anni dalla nascita, come nasce questo spettacolo?

“Un momento importante nella costruzione di questo spettacolo è stato nel 2015, in occasione dell’anniversario della morte di Pasolini, quando feci un’intervista a Graziella Chiarcossi, filologa, cugina di Pier Paolo, la persona che oggi lo conosce meglio. Tramite lei ho scoperto un aspetto poco noto, ovvero che il padre, militare fascista, era molto legato al figlio, omossessuale comunista. Gli faceva da segretario, lo seguiva passo passo. La lettura che invece abbiamo avuto, in questi anni, del loro rapporto era di forte conflitto, per questo occorre approfondire. I motivi di questo spettacolo sono tanti: nel 2020 mi sono recato, per la prima volta, nel cimitero di Casarsa della Delizia, dove è sepolta tutta la famiglia Pasolini. Spesso sento dire che Pier Paolo era friulano: in realtà, come sappiamo, era nato a Bologna, anche se è pur vero che non si sceglie dove nascere e che lui è sempre rimasto molto legato alla sua parte friulana. Al cimitero sono tutti lì, è una sorta di album di famiglia e credo che questo aspetto vada recuperato. Credo che, quando si parla di Pasolini, non si debba aver paura di entrare nel personale: lo facciamo con tutti e non capisco perché non lo si debba fare con lui, che ha riversato tutta la sua vita nelle sue opere senza mai nascondersi”.

Se questo ipotetico museo esistesse, cosa dovrebbe contenere?

“Io penso davvero che esista (ride, ndr). Al giorno d’oggi, nessuno penserebbe di allestire un Louvre o una struttura come gli Uffizi, oggi si prediligono percorsi brevi ma sensati e nel mio museo c’è un filo preciso. Ogni museo ha una sua logica, dunque uno o più fili che servono a tessere un racconto. Qui gli oggetti contenuti sono cinque. C’è la prima poesia che Pasolini scrisse all’età di sette anni. Quella che gli fece comprendere che la poesia non è solo un oggetto di studio o consumo, ma anche qualcosa che si può produrre, che tu stesso puoi scrivere. C’è il piccolo cimitero di Casarsa della Delizia nel quale riposano il poeta, la madre e le zie, il padre, il fratello e i partigiani uccisi con lui. Come dicevo, è un album di famiglia. C’è l’innocenza perduta dei comunisti dopo l’invasione dell’Ungheria nel 1956. C’è la borsa in similpelle che contiene l’esplosivo della strage di Piazza Fontana e, pezzo più importante, c’è il corpo massacrato del poeta. Questo museo si trova ovunque venga rappresentato lo spettacolo, ma è anche in un luogo preciso. Un luogo del delitto: il ‘900”.

Cosa è stato, il Novecento?

“Un secolo pieno di utopie, di gioia e di tragedie. Per far visitare il museo bisogna spalancare le porte del ‘900 e metterlo in mostra, esporlo senza censure, senza lasciare pezzi preziosi chiusi negli scantinati. Bisogna esporsi. Il ‘900 è il luogo del delitto di Pasolini: il narratore della storia e guida del museo ci dice che il luogo del delitto non è l’Idroscalo di Ostia, ma il secolo appena trascorso. Ci dice che siamo noi i colpevoli. Noi che abbiamo vissuto questo secolo. E la pena da scontare consiste proprio nell’aprire la porta e mostrare le contraddizioni, i delitti, le speranze. Ma anche le analogie, le relazioni tra l’opera di Pasolini, la sua vita e gli avvenimenti grandi e piccoli che hanno caratterizzato 53 anni di storia dal 1922 al 1975. I 53 anni di vita del poeta”.

Mercadini: “Un applauso vale più di un like”

LA STAGIONE DEI TEATRI 2022-2023

FUORI PROGRAMMA

 

Intervista di Federica Ferruzzi a Roberto Mercadini

 

“Sono, da sempre, appassionato di poesia, letteratura e teatro, ma quando è stato il momento di scegliere, ho avuto il timore che questi studi non mi garantissero un lavoro, così mi sono iscritto alla Facoltà di Ingegneria. Per dieci anni ho fatto l’informatico, ma nel frattempo scrivevo e studiavo, coltivando la passione per la scrittura e il teatro, fino a che l’impegno e l’attribuzione del lavoro di artista divennero tali da permettermi e costringermi a lasciare il lavoro di ufficio”.

Si presenta così Roberto Mercadini, scrittore cesenate, che sabato 28 gennaio porterà in scena, al Teatro Rasi, lo spettacolo dal titolo Orlando Furioso, fuori programma de La Stagione dei Teatri.

“Mi sono avvicinato a quest’Opera – spiega – perché, nel 2015, mi è stato commissionato un monologo sull’Orlando Furioso, in occasione dei cinquecento anni dalla prima edizione. Spesso, infatti, proprio come gli artisti rinascimentali, eseguo lavori su commissione.

Io sono un narratore, dunque ho immaginato una narrazione e ho cercato di individuare, nell’immenso e intricato Poema, alcune figure chiave. La prima, ovviamente, è Orlando, mentre la seconda è Angelica, che fugge continuamente: un simbolo potente di quello che succede a tutti in tutto il Poema, ovvero correre dietro qualcosa che non si fa afferrare. Poi c’è Astolfo, il personaggio più visionario e immaginifico di tutta la letteratura, testimone del fatto che il Poema sia sprizzante di fantasia; accanto a lui Bradamante, il cavaliere perfetto. Cucendo insieme le vicende di questi quattro personaggi, mantenendo una linea che è stata per forza di cose una sintesi estrema, mi è sembrato di dare un’immagine, per quanto semplificata e imperfetta, della ricchezza del Poema.

Io sono nato come teatrante e ho usato YouTube come vetrina, come modo per portare la gente in teatro, un mezzo per far conoscere quello che faccio. Lo scopo non è realizzare visualizzazioni, ma invogliare le persone a venire in teatro. Spesso mi sento dire: ‘Mi piacciono i tuoi video, ma dal vivo sei molto meglio’ e questo mi rende felice, perché il mio vero mestiere è questo, stare sulle tavole di un palcoscenico a far ridere e piangere le persone. Sentire una risata vale mille volte di più che vedere un’icona con la risata e sentire un applauso vale mille volte di più di un like”.