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Uno spettacolo fortemente liberatorio, profondamente erotico e disperatamente vitale

LA STAGIONE DEI TEATRI 2024-2025

In occasione di Altri Libertini. Di Pier Vittorio Tondelli Federica Ferruzzi ha intervistato la drammaturga, regista e attrice Licia Lanera, che porterà in scena per La Stagione dei Teatri 2024/2025 lo spettacolo al Teatro Rasi di Ravenna dal 9 all’11 gennaio. Insieme a lei sul palco ci saranno Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani.

Lanera, come nasce lo sguardo su Tondelli, come nasce il rapporto con i suoi lavori, che lei attraversa e restituisce sulla scena in modo assolutamente personale, ma allo stesso tempo senza tradire lo spirito dell’autore?

“Tondelli è un autore che ho conosciuto e iniziato ad amare non molto tempo fa. La prima cosa che mi ha colpito è stata sicuramente la sua lingua, questo parlato tradotto sulla pagina, questa lingua bastarda e viva che descriveva paesaggi e situazioni degli anni ‘80. Man mano che mi sono addentrata nell’opera di Tondelli ho scoperto di avere anche delle profonde connessioni con l’autore dal punto di vista emotivo, connessioni con il suo sguardo sul mondo. In particolare Altri Libertini contiene tutta una serie di questioni che mi appartengono, questa adesione alla parola tondelliana è amore profondo, oltre che rispetto. Tutto ciò ha fatto sì che venisse fuori questo spettacolo assolutamente fedele nella sua trasposizione in teatro; infatti, non ho proposto un adattamento teatrale all’opera narrativa, ma ne faccio dei tagli e compio un’operazione drammaturgica di incastro dei tre racconti scelti per la messa in scena, che però rimangono tali e non vengono stravolti. In più, a questo adattamento del romanzo, viene affiancata una parte drammaturgica biografica in cui io connetto quest’opera appartenente a un’epoca in cui io e i miei compagni di spettacolo non eravamo ancora nati (o quasi) e traccio una linea temporale ed emotiva tra quelle parole e noi”.

La scelta degli attori sembra essere frutto di un’attenta selezione, e il risultato è uno spettacolo che registra ovunque il tutto esaurito e che ha molto colpito la critica. Tre anime diverse (Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani) che riflettono le tante sfaccettature di Tondelli e che, insieme, sono di un’alchimia perfetta: come le ha individuate?

“Quando ho deciso di fare Altri Libertini, non avevo idea di come sarebbe stato lo spettacolo e non avevo neanche idea di quali sarebbero stati i racconti che avrei scelto; avevo delle opzioni, ma non avevo preso delle decisioni. La prima cosa che però ho fatto, che era l’unica cosa che sapevo, è stata convocare i tre attori. Questo accadeva due anni prima del debutto. Io ero certa che avrei dovuto fare lo spettacolo con loro: tre attori che conosco e tre persone a cui sono molto legata, che avrebbero potuto abitare questa parola con una grande dote teatrale e attoriale, ma anche con una sincerità emotiva per me necessaria a non rendere questa dimensione giovanile trasgressiva una farsa. Loro tre mi sembravano diversi, ma molto legati da interessi simili, da un sentire comune, che poi è lo stesso mio. In base a loro tre ho scelto i tre racconti e mi sembra che le mie aspettative siano state abbondantemente esaudite”.


Uno degli elementi che colpisce dello spettacolo è l’attualità della condizione raccontata dall’autore, che attraversa e accomuna le generazioni. Cosa le ha ‘ridato’ questo spettacolo e cosa ci ha visto, il pubblico? 

“Io credo che per il pubblico questo sia uno spettacolo fortemente liberatorio, profondamente erotico e disperatamente vitale, che è un po’ quello che io cercavo e ho trovato in quelle pagine e che ho cercato di restituire sul palco. Questa fame insaziabile di vita che può portare anche alla morte è il centro di questo racconto iperbolico, esagerato e profondissimo. Credo che questo, anche grazie agli attori, sia estremamente chiaro al pubblico e tutti insieme, come dire, marciamo verso questo dionisiaco, questa esuberanza”.

Nello spettacolo lei non ha paura di mettersi a nudo e racconta tratti personali che si intrecciano alla narrazione. Lo spettacolo sembra anche molto ‘liberatorio’ per gli stessi attori e per lei: quanto, dal suo punto di vista, fare teatro e scrivere per il teatro aiutano a vivere meglio?

“Non mi piace la parola ‘terapeutico’ associata al teatro, tuttavia è chiaro che mettere qualcosa di sé, dei propri dolori, umori o inquietudini su un palcoscenico è un privilegio che noi attori abbiamo e che ci serve a vivere meglio. Dopodiché, il teatro da sempre contiene in sé la catarsi e dunque questo è uno spettacolo in cui la catarsi avviene, come dovrebbe essere sempre a teatro per noi e per gli spettatori”.