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Dal 4 al 6 ottobre al Rasi il prologo di Fèsta

E production e Ravenna Teatro presentano il prologo di Fèsta, festival delle arti performative contemporanee, dal 4 al 6 ottobre al Teatro Rasi di via Roma 39. Le prime due giornate verranno inaugurate, alle 19, dallo spettacolo della compagnia Menoventi, dal titolo Entertainment. Una commedia in cui tutto è possibile, seguito, alle 21, da Siamo tutti cannibali, produzione firmata da Roberto Magnani / Teatro delle Albe. Giovedì 6 sarà invece possibile assistere al solo spettacolo delle Albe che sarà però fissato alle 21.30.

“Senza di te io non esisto”, “si può amare qualcuno che non c’è?”. Ivan Vyrypaev, autore del testo dello spettacolo, ci accompagna attraverso queste riflessioni e domande ai confini della rappresentazione. In Entertainment. Una commedia dove tutto è possibile un uomo e una donna vanno a teatro per assistere a uno spettacolo che li porta a interrogarsi sull’intima natura dell’intrattenimento. Spettatori attenti e curiosi, condividono e commentano le loro intuizioni sulle regole della finzione teatrale e sul rapporto che intercorre tra i fantasmi che popolano il palcoscenico, senza però riuscire a individuare un netto confine tra l’attore e il personaggio. In scena gli attori Tamara Balducci e Francesco Pennacchia sono guidati dalla regia di Gianni Farina di Menoventi.

In Siamo tutti cannibali è invece l’abisso che abita ogni essere umano il vero protagonista. Una “sinfonia” – nata da una personalissima selezione di brani tratti dal capolavoro letterario di Herman Melville ad opera dell’attore protagonista Roberto Magnani – in cui il contrabbasso diventa la voce dell’intera Pequod, la baleniera capitanata da Achab, pervasa dagli scricchiolii del ponte sotto i piedi dell’equipaggio, come dal furioso sbattere di code degli squali affamati contro la prua e in cui risuonano le voci del capitano con una gamba sola, di Ismaele e di tutti coloro  che popolano il veliero. Lo spettacolo nasce dalla richiesta che il contrabbassista Giacomo Piermatti ha rivolto a Magnani dopo aver collaborato con lui alla Chiamata Pubblica – progetto che ha coinvolto centinaia e centinaia di cittadini e cittadine nella costruzione di uno spettacolo dedicato alla trilogia dantesca – insieme  regista del suono Andrea Venieri, allievo di Luigi Ceccarelli, storico collaboratore del Teatro delle Albe. 

BIGLIETTI

Intero 10 euro, ridotto 8 euro Under 30  e abbonati a La Stagione dei Teatri.

Promozione  Entertainment + Siamo Tutti cannibali 12 euro.

I biglietti si possono acquistare nella biglietteria on-line oppure presso la biglietteria del Teatro Rasi il giovedì dalle 16 alle 18, la sera stessa dello spettacolo oppure prenotando al 3337605760 e pagando con Satispay o tramite bonifico.

 

INFORMAZIONI E CONTATTI

Ravenna Teatro tel. 0544 36239 / 3337605760, info@ravennateatro.com Gli uffici di Ravenna Teatro sono aperti al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18 presso il Teatro Rasi in via di Roma 39 a Ravenna. 

L’oceano in una bacinella

Da bambino amavo, durante i mesi estivi, giocare spesso nel cortile di casa all’ombra di un piccolo melograno. Riempivo di acqua una grande bacinella di plastica azzurra, di quelle che si usavano per lavare i panni, e quella subito diventava il mio oceano. E in quell’oceano animavo avventure fantastiche, facendo coesistere personaggi e storie diverse legate ai giocattoli che in quel momento occupavano la mia immaginazione. Ricordo un sottomarino nero, un grande squalo bianco (gli squali sono stati a lungo una mia grande passione, tanto da voler diventare, da grande, un biologo marino) e un demone dalla pelle bluastra con un teschio al posto del viso. Figure che formavano la mia personale cosmogonia di un universo acquatico.

Fotografia di Claire Pasquier

Il mio primissimo esperimento teatrale in solitaria – allestito un’unica volta, nel 2006, nell’abside del Teatro Rasi, di fronte al resto dei miei compagni del Teatro delle Albe – s’intitolava Il mondo dei squali, come recitava il titolo sgrammaticato su un poster pubblicitario di un circo acquatico, usato come unico elemento scenografico. Ero partito da La predica agli squali, un frammento di dialogo estrapolato dal capitolo LXIV di Moby Dick intitolato La cena di Stubb e, su suggerimento di Marco Martinelli, avevo provato a costruirgli intorno una serie di scene che avevano come unico fil rouge, appunto, gli squali.

Moby Dick è da sempre, da quando l’ho letto per la prima volta poco più che ventenne, il mio livre de chevet. Il più grande libro di mare mai scritto, forse il più bel romanzo americano, un caposaldo della cultura occidentale. Un libro sulla rovina, sul tramonto della nostra società, canto straziante e psicotico, mistico e delirante. Leggerlo provoca lo stesso effetto che deve aver sperimentato chi ha potuto ascoltare Jimi Hendrix suonare dal vivo, a Woodstock, The Star Spangled Banner nel 1969. L’ho letto oramai diverse volte, ci torno spesso e, come un libro magico, aprendolo a caso ottengo indicazioni sul futuro. Credo che non esaurirò mai il mio rapporto con questo libro, continuerò a lavorarci per tutta la vita, come una fonte di inesauribile sapienza.

Questo lavoro, però, è nato da una precisa richiesta: Giacomo Piermatti, sopraffino contrabbassista allievo di Daniele Roccato e di Stefano Scodanibbio, dopo aver collaborato con noi Albe in Purgatorio, chiamata pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, mi ha proposto un percorso di lavoro a due che, dopo qualche esperimento, si è concretizzato attorno a una prima selezione di brani tratti proprio da Moby Dick. Data l’impronta musicale e sonora del lavoro di voce e contrabbasso si è unito alla squadra, con un contributo prezioso e fondamentale, Andrea Veneri, giovanissimo regista del suono allievo di Luigi Ceccarelli (storico collaboratore del Teatro delle Albe), anche lui conosciuto e apprezzato durante il nostro pluriennale lavoro su Dante.

Fotografia di Marco Parollo

Il Pequod, la baleniera capitanata da Achab, è in Melville un affollarsi di voci e di razze, una vera nave americana, una nave di folli agli ordini di un folle capitano in una folle caccia a un fantasma. E in questa nostra sinfonia, il contrabbasso – amplificato in modo da creare piani sonori ben differenziati e con l’aggiunta di elaborazioni basate sul ritardo e la moltiplicazione del suono che ne modificano e incrementano l’espressività – diventa la voce dell’intero Pequod, pervaso dagli scricchiolii del ponte sotto i piedi dell’equipaggio come dal furioso sbattere di code degli squali affamati contro la prua. Una sinfonia in cui la musica, creando uno spazio sia emotivo che fisico, tenta di manifestare tutto quello che le parole lasciano solo intuire, mentre le variazioni timbriche della voce, che si succedono durante la performance, vengono amplificate attraverso l’uso di riverberazioni digitali che ne variano la spazialità, l’enfasi o la crudezza.

Il tempo della scena è misterioso: siamo tornati indietro o siamo all’inizio di una nuova umanità? E altrettanto misterioso è lo spazio scenico: relitto adagiato sul fondo dell’oceano o magari cimitero di navi, oppure, ancora, antro oscuro (il ventre della balena, come Geppetto e Pinocchio? O forse solo un teatro?) in cui, come totem, sorgono frammenti, lastre metalliche piegate, corrose, consumate dal tempo. Su queste, la mano del giovane artista ravennate Bacco Artolini ha disegnato segni antichi, geroglifici, rappresentazioni di antiche o nuove divinità.

I capolavori della letteratura formano sempre una specie di lingua straniera nella lingua in cui sono scritti. Penso a Foglie d’erba di Whitman o a Pinocchio di Collodi. Melville ne inventa una – la “lingua della Balena”, la chiama Deleuze – che stravolge l’inglese. Lingua inumana o sovrumana. Da qui, la scelta di ricorrere alla traduzione di Cesare Pavese. Non solo perché fu il primo traduttore del romanzo in Italia o per l’esperienza d’abisso che l’autore de Il mestiere di vivere si portava addosso, ma soprattutto per la musica della sua lingua non databile, sospesa nel tempo come può esserlo la grande poesia. Un italiano che non è più solo italiano ma lingua originale e originaria proprio come quella di Melville. Una lingua-mondo, una sorta di Bibbia segreta e magica.

Nelle prime pagine del suo capolavoro, Melville ci consegna la chiave d’oro per leggere il romanzo: “E ancora più profondo di significato è quel racconto di Narciso che, non potendo stringere l’immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessa immagine noi la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto”.

Fotografia di Marco Parollo

Mito tragico, quello di Narciso, che parla della ricerca del “chi siamo?” e del “chi sono io?”. Una ricerca che, nel mito, ha come soluzione la morte, l’andare letteralmente a fondo. Fare esperienza dell’abisso, esperienza fisica del fondo oscuro che abita in ognuno di noi. Essere ammaliati dalla musica incantatoria che proviene dal fondo del burrone, camminarci accanto, rischiando più volte di scivolare e poi precipitare, inabissarsi definitivamente, non vedere più la luce e la possibilità di risalire.

Secondo i miti orfici, Dioniso fu ucciso dai Titani mentre si guardava allo specchio.

Specchiandoti crei il mondo, ma la creazione e la conoscenza di questo mondo non rispondono alla realtà. La fonte d’acqua agisce come uno specchio, mettendo insieme, dunque, superficie riflettente e profondità oscura.

Così, nel gioco del Teatro, una bacinella può per incanto tornare a trasformarsi in uno specchio d’acqua che raccoglie in sé tutti gli oceani del mondo.

Roberto Magnani