Il Teatro Rasi ospita due serate di incontri e proiezioni con i registi Mario Martone, Clemente Tafuri, Cesare Ronconi
Martedì 18 febbraio e sabato 22 febbraio Ravenna Teatro organizza al Teatro RasiTra Teatro e Cinema, due serate di incontri e proiezioni all’insegna della stretta relazione che intercorre tra le due arti.
La serata di martedì 18 febbraio inizierà alle 20:00 e vedrà il regista Mario Martone in dialogo con Cristina Piccino (il manifesto, Filmmaker Festival) e Luca Mosso (Filmmaker Festival). Verrà proiettata la pellicola del regista napoletano dal titolo Teatro di Guerra (produzione Teatri Uniti, Lucky Red, durata 113′), ambientata a Napoli nel 1994 e definita dal Morandini “Il miglior film italiano degli anni ’90”. La trama racconta la storia di un gruppo di attori di teatro che, durante la guerra civile jugoslava, sceglie di mettere in scena una rilettura del testo di Eschilo “I sette contro Tebe” e di portare lo spettacolo a Sarajevo assediata come atto di solidarietà culturale. Le prove hanno luogo nei quartieri spagnoli, a Napoli, e diventano l’occasione per mettere a nudo tutti i problemi e le incoerenze degli interpreti. Vite, destini e passioni si intrecciano tra scena e realtà. Sullo sfondo un fedele spaccato della città partenopea anch’essa piena di contraddizioni. Nel cast troviamo Andrea Renzi, Anna Bonaiuto, Iaia Forte, Roberto De Francesco, il ravennate d’adozione Marco Baliani e Toni Servillo.
Sabato 22 febbraio la serata inizierà a partire dalle 18:00 e sarà dedicata ad una tra le figure più controverse del Novecento teatrale, Carmelo Bene. Il dialogo sarà tra Clemente Tafuri (regista, scrittore e direttore artistico di Teatro Akropolis) e Matteo Marelli (Film Tv e Filmmaker Festival). Si potrà assistere alla visione del film La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro. Carmelo Bene con Valentina Beotti, Margherita Fabbri, Daniela Paola Rossi (produzione Teatro Akropolis, AkropolisLibri, durata ’53). La pellicola, attraverso le parole del protagonista della neoavanguardia teatrale italiana, si addentra nel paradosso dell’irrappresentabilità, evocando i grandi temi della filosofia ispirati da Schopenhauer, Nietzsche e Giorgio Colli tra gli altri. Successivamente, dalle 21:00, si darà spazio alla produzione video di Teatro Valdoca. Cesare Ronconi, co-fondatore della compagnia cesenate insieme a Mariangela Gualtieri, sarà in dialogo con Fulvio Baglivi (Rai3 Fuori Orario – Cose (Mai) Viste) e Lucrezia Ercolani (il manifesto). Nell’arco della serata verranno proiettati Come cani, come angeli, “un cortometraggio interamente concentrato sugli umani e sulla luce” con (in ordine di apparizione) Lia e Aurora Sindona, Silvia Calderoni e Nico Guerzoni, Ida Travi, Lea Marjovski Griggio ed Elena Griggio, Giorgiomaria Cornelio e Lucamatteo Rossi, Matteo Ramponi. I versi da cui le immagini vengono generate sono di Ida Travi (durata 27′); L’ultimo ritocco del nume su Eva Nascente + il desiderio del Nume su Eva nascente, con Massimo Abbondanza e Mariangela Gualtieri (durata 5′); Confiteor (durata 8′) e MCMXC (Millenovecentonovanta; durata 30′) con la voce recitante di Gualtieri.
INFORMAZIONI E BIGLIETTI
🎟 Ingresso per una proiezione: 5 €
🎟 Abbonamento per tre proiezioni: 10 € (prenotabile telefonicamente)
I biglietti sono disponibili su questo sito e acquistabili anche direttamente al Teatro Rasi a partire da un’ora prima dell’evento.
📍 Teatro Rasi – Via di Roma 39, Ravenna
📞 Info: Ravenna Teatro – 0544 36239
In occasione di Pragma. Studio sul mito di Demetra di Teatro Akropolis, in scena venerdì 31 marzo 2023 al Teatro Rasi, pubblichiamo l’articolo L’oscura radice dell’animalità (1) di Clemente Tafuri e David Berlonio.
Immagine di scena
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L’OSCURA RADICE DELL’ANIMALITÀ
La sostituzione progressiva di comunità virtuali alle forme tradizionali di aggregazione, o la virtualizzazione di tali forme, ha ridefinito l’intera collettività a partire dalla suddivisione in piccoli gruppi tendenzialmente isolati fra loro. I processi di aggregazione avvengono ormai per contagio, senza confronti reali. La possibilità concessa a chiunque di dare una forma, sia essa scritta o per immagini ma comunque in un contesto virtuale, alla propria visione del mondo, si è rivelata una velenosa e falsa interpretazione della democrazia che sta corrodendo la necessità di mettere a confronto le differenze e di elaborare la consapevolezza della propria condizione considerando scenari complessi. Le comunità virtuali sono circoli, covi per chi la pensa allo stesso modo, non-luoghi in cui annichilire il senso critico, supermercati in cui sfogare la propria bulimia e la propria isteria. La presenza fisica di cui sembra si avverta sempre più il bisogno è quella dell’immagine fotografica o filmata (quella cioè di una rappresentazione parziale per sommari aggregati di forme e colori), che tralascia inevitabilmente gli aspetti connessi a una esperienza sensoriale condivisa, non solo cioè quelli relativi ai sensi che non vengono coinvolti nella visione, ma anche quelli emotivi legati direttamente alla presenza reale. Si è instaurato il primato di una pangrafia, una condizione in cui ogni azione e ogni individuo vengono riprodotti e descritti, e l’interazione sociale, come la percezione di sé, prescindono dal corpo. L’azione è relegata alla dimensione virtuale, e anche quando essa prende una forma reale viene immediatamente destituita dello stato di accadimento per essere ricondotta alla sua rappresentazione. Ogni azione viene riconosciuta come tale solo se è filmata, solo cioè nel suo stato di riproducibilità. L’azione diventa atrofica e rischia di compromettere la natura politica di ogni lotta in quanto il suo evolversi produce conseguenze su un piano innanzitutto astratto, separato, protetto. Ed è proprio questa separazione a ridurre il corpo a immagine, infinitamente condivisibile, portatrice di un’identità moltiplicata da un lato, ma irrimediabilmente narcisistica dall’altro. Ma quale corpo è andato perduto? La risposta che dobbiamo dare a questa domanda non può che essere un’ulteriore altra domanda: quale significato di corpo dobbiamo tentare di recuperare per restituire una direzione ad un percorso di consapevolezza di noi stessi tornando a praticare, o quantomeno a elaborare, un’azione non più ridotta a un’ombra di se stessa? Un fondamentale aspetto con cui abbiamo perso ogni familiarità è il corpo-materia, il sṓma, il corpo cioè che ci consente di essere un elemento intramondano solidale con gli aspetti della realtà che ci circonda. Che ci consente quindi di occupare uno spazio e di affermare una presenza. Ma altrettanto perduto è il corpo nel suo significato di estensione, chrṓs, che raccoglie il nostro aspetto e si fa portatore del nostro sembiante attraverso il volto. È il corpo-identità. Infine il corpo-struttura, il démas, la forma vitale attraverso cui si instaura una relazionalità funzionale con l’ambiente. Anch’esso perduto, e rimpiazzato, proprio come il corpo negli altri suoi significati, dal corpo-immagine. In merito al corpo-immagine giova citare quelle forme che Bachtin attribuisce al nuovo canone corporeo che si oppone e si sostituisce, a partire da una certa epoca, alla concezione precedente di corpo: un corpo perfettamente dato, formato, rigorosamente delimitato, chiuso, mostrato dall’esterno, omogeneo ed espresso nella sua individualità. […] Nel nuovo canone corporeo, il ruolo predominante passa alle parti del corpo che hanno individualmente un valore caratterologico ed espressivo: la testa, il volto, gli occhi, le labbra, il sistema muscolare, la posizione individuale che il corpo occupa nel mondo esterno. Al primo posto si distinguono le posizioni e i movimenti opportuni di un corpo formato in un mondo esteriore parimenti formato, in presenza dei quali le frontiere fra il corpo e il mondo non si indeboliscono affatto.(2) Si tratta del trionfo del principio di individuazione celebrato attraverso il trionfo dell’individualismo (3). Ma i significati perduti possono continuare ad esercitare una funzione. Non solo, possono mostrarsi nella loro processualità imponendo una inequivocabile affermazione del corpo che metta in crisi la pangrafia nell’ambito della quale ne percepiamo, ormai abitualmente, l’immagine […]
Il presente contributo è la versione ampliata di C. Tafuri, D. Beronio, Fenomenologia del corpo perduto, pubblicato in «Luoghi comuni – Corpo», a. I, n. 2, maggio-giugno 2019.
M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 2011, pp. 350-352.
Per una breve analisi del rapporto fra atto teatrale e principio di individuazione in Nietzsche cfr. C. Tafuri, D. Beronio, Morte di Zarathustra, Genova, AkropolisLibri, 2016, pp. 44-45.
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