Tag: Cabaret Yiddish

Il suono dell’esilio

La Stagione dei Teatri 2021/2022
Cabaret Yiddish di e con Moni Ovadia
9-12 dicembre 2021, Teatro Alighieri

 

Presentazione di Cabaret Yiddish, di e con Moni Ovadia, secondo appuntamento de La Stagione dei Teatri 2021/2022, a cura di Alessandro Fogli.

Manifesto di Cabaret Yiddish, fotografia di Maurizio Buscarino

 

È tante cose, Moni Ovadia: attore, cantante, musicista, scrittore. Probabilmente però, più di ogni altra cosa, Ovadia è, come lui stesso a volte si definisce, «un militante per le cause della pace e della giustizia sociale, dei diritti degli uomini e dei popoli, della dignità». Pace, giustizia, dignità, diritti dei popoli, da dove arrivano tutte queste vocazioni? Forse dalle sue radici e dalla sua formazione.

Natali bulgari, si trasferisce ancora bambino a Milano con la famiglia, di ascendenza ebraica sefardita, ma di fatto impiantata da molti anni in ambiente di cultura yiddish e mitteleuropea. Questa circostanza influenzerà profondamente tutta la sua opera di uomo e di artista, dedito costantemente al recupero e alla rielaborazione del patrimonio artistico, letterario, religioso e musicale degli ebrei dell’Europa orientale, patrimonio che trova consacrazione imperitura in uno spettacolo in particolare di Moni Ovadia, quello che ha sancito il suo successo teatrale e che, non a caso, viene replicato da quasi trent’anni con immutato successo. Cabaret Yiddish nasce come “spettacolo da camera” nel 1992 (da esso verrà poi derivato il celeberrimo Oylem Goylem) e con questo lavoro Ovadia ha letteralmente diffuso in Italia la conoscenza della cultura yiddish e della musica klezmer.

«La musica klezmer ha due caratteristiche – spiega Ovadia – è una soul music, perché è la musica di un popolo, della sua anima; ed è una world music, perché pur avendo un’anima specifica non è solipsista, bensì composta da tante esperienze sonore e timbriche provenienti da tutto il grande bacino in cui vivevano le comunità ebraiche orientali». Come il titolo suggerisce, quello che andrà in scena al Teatro Alighieri per La Stagione dei Teatri 2021-22 è uno spettacolo in forma di cabaret, che alterna gustose “storielle” di vita e riflessioni satiriche sulla famiglia e la società ebraiche, sul razzismo, il rapporto col divino, con musiche, canti e danze eseguite dal vivo (dallo storico gruppo composto da Maurizio Dehò al violino, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Florian Mihai alla fisarmonica e Luca Garlaschelli al contrabbasso). Uno spettacolo pulsante di vita, ipercinetico, divertente, profondo, in cui la lingua, la musica e la cultura yiddish – un inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno – fanno da contrafforte alla condizione universale dell’Ebreo Errante, che dai tempi di Mosè a oggi ha sempre vissuto la condizione dell’esilio, solo a volte riuscendo ad affermarsi, quasi sempre guardato con diffidenza, se non con ostilità. Uno spettacolo che «sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe» e che è ciò che Moni Ovadia chiama «il suono dell’esilio, la musica della dispersione», in una parola della diaspora. E se lo yiddish è la lingua di quella parte di cultura ebraica che racconta Ovadia, il klezmer – che deriva dalle parole ebraiche kley e zemer, ossia violino e clarinetto, con cui si suonava la musica tradizionale degli ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo – ne è la colonna sonora. «Ho scelto di dimenticare la “filologia” – dice Ovadia – per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente determinate”, per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime. Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi, sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos’altro». In Cabaret Yiddish Moni Ovadia conduce dunque lo spettatore all’interno di una comunità di cui spesso si conoscono solo i caratteri esteriori o le tragedie, andando a disvelare pregiudizi, negativi e positivi.

Cabaret Yiddish è anche il secondo spettacolo dell’anta de La Stagione dei Teatri denominata Malagola, che prende il nome dalla scuola di vocalità e centro studi sulla voce diretto da Ermanna Montanari. Il progetto raccoglie, a Ravenna, attività dal respiro internazionale tra loro intrecciate: la scuola, gli archivi d’arte e quelli audiovisivi della scena contemporanea, una collana editoriale dedicata, incontri, spettacoli e concerti che si articoleranno tra il Rasi, Alighieri e Palazzo Malagola. Moni Ovadia fa parte del corpo docente di Malagola e nei giorni dello spettacolo terrà una serie di lezioni di Pratiche di creazione sonora.