“E dunque l’attenzione di chi si impegna nel farsi luogo è orientata dall’attenzione a chi è fuori dal luogo; a chi non ce l’ha; a chi non ha un teatro in cui lavorare, uno spazio in cui esprimersi; e non per includerlo, irregimentarlo, ma per trovare nelle ragioni di chi è senza luogo le ragioni di salvezza per chi il luogo ce l’ha e lo costruisce-ricostruisce ogni giorno. È lo straniero che ci consente di esistere. È l’accoglienza, in quanto movimento e dialogo, che fonda il nostro stare. È il nomade e il periferico che garantisce verità al nostro occupare il luogo (…)”.
Quello appena letto è l’81esimo “varco” citato da Marco Martinelli nel suo “Farsi luogo” – un testo in cui il regista, anima delle Albe e di Ravenna Teatro, spiega cos’è per lui il teatro – che ha accompagnato la due giorni del viaggio a Milano, la prima tappa del progetto “In viaggio con Ravenna Teatro” che ha avuto luogo il 21 e il 22 maggio in collaborazione con il gruppo Viandando.
La riflessione su cosa porti un luogo a “farsi luogo”, l’incontro tra persone diverse ma accomunate dall’essere spettatori e spettatrici che, come dice il regista, sono “lo straniero che ci consente di esistere”, hanno scandito un viaggio che ha portato una trentina di abbonati della stagione appena conclusa in visita alla “casa” della compagnia dell’Elfo, il teatro dell’Elfo Puccini, in pieno corso Buenos Aires – e da Olinda, l’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini che oggi è centro culturale e sede di attività come TeatroLaCucina, bar, ristorante, ostello e residenze artistiche. Due realtà individuate non a caso per questo primo viaggio: il Teatro dell’Elfo è stato il primo, in Italia, a scegliere la formula di impresa sociale, mentre Olinda è uno spazio che, da chiuso, si è trasformato in centro di inclusione e inserimento lavorativo con l’obiettivo di ricostruire accessi ai diritti di cittadinanza per persone con problemi di salute mentale anche grazie a Ravenna Teatro.
Dopo una visita a cura del gruppo Viandando alla casa museo Boschi-Di Stefano, nella prima giornata di sabato 21 il gruppo è stato accolto da Fiorenzo Grassi, co-direttore del Teatro dell’Elfo, che ha illustrato gli spazi e le tre sale in corso Buenos Aires compiendo un viaggio a ritroso nel teatro milanese dagli anni ’60 ad oggi, tra mostri sacri e sperimentazioni che hanno fatto la storia del teatro italiano. “Ci siamo trasformati in impresa sociale – ha spiegato Grassi – e facciamo parte del terzo settore perché siamo profondamente convinti che il teatro sia un servizio di utilità sociale”, concetto che lega la realtà milanese a Ravenna Teatro. Grassi ha regalato un racconto appassionato andando alle radici del proprio lavoro, ricostruendo in oltre 40 anni di storia personale quella del teatro italiano. Ricordi legati a grandi personaggi ma anche al luogo, quel teatro la cui costruzione è stata “seguita mattone su mattone: passavo le domeniche qua”. La stessa attenzione avuta da Ravenna Teatro durante gli interventi al Rasi, che nonostante la pandemia si sono svolti nel perfetto rispetto dei tempi previsti.
In serata, dopo un aperitivo servito a Bistrōlinda, spazio interno al teatro gestito da Olinda, il gruppo ha assistito alla prima nazionale Tre donne alte di Edward Albee, interpretato da Ida Marinelli.
Il giorno successivo, dopo la visita alla mostra Joaquìn Sorolla – il pittore della luce a Palazzo Reale, organizzata sempre da Viandando, ci si è spostati a Olinda, un cuore verde a poca distanza dal centro di Milano che ha fatto tornare protagonista la riflessione sul luogo e sul farsi luogo.
Per anni Olinda è stato un posto dimenticato dai milanesi, un luogo da cui stare lontani. E lo stesso valeva per i medici e il personale impiegato: Olinda doveva rimanere isolato. I padiglioni stessi, al suo interno, erano studiati per ‘perdersi’, per far perdere l’orientamento a chi vi era internato. E’ stata la lungimiranza dello psichiatra svizzero Thomas Emmenegger, discepolo di Basaglia, a voler trasformare quella sorta di non luogo in un centro pulsante della vita culturale milanese. E nel fare questo, poco dopo la sua costituzione, il fondatore di Olinda ha ricercato la collaborazione della non-scuola per riconvertire l’area dismessa del manicomio in una fucina culturale e artistica diventata, da periferica, parte del centro della città. A tal proposito, una delle iniziative di punta è la rassegna teatrale “Da vicino nessuno è normale”, voluta nel 1997 da Rosita Volani, che ne cura la direzione artistica.
Qui – al termine di un pranzo preparato negli spazi di quello che era l’ex obitorio e che oggi è la cucina di un ristorante diventato punto di riferimento per la città – Emmenegger e Volani hanno letteralmente preso per mano il gruppo portandolo in visita nell’immenso parco che contiene un ostello, ex padiglioni oggi riconvertiti in strutture usate dal servizio pubblico, orti, una chiesa copta ortodossa eritrea e un teatro restaurato dall’architetto Carlo Carbone, lo stesso che ha portato a nuova vita il Rasi.
“Quando ci è stato concesso questo spazio – ha spiegato Volani – i dubbi erano molti, poi abbiamo capito che poter gestire un cancello in completa autonomia era una fortuna enorme. Il presidente ha portato come prima cosa un tavolo da ping pong in quella che era la camera delle autopsie e da lì abbiamo iniziato a rimettere mano a tutto. Per noi la ‘testa d’ariete’ è sempre stata la cultura, il modo per attirare la città in periferia. Il rapporto con Ravenna Teatro è quindi venuto naturale”.
Teatro dell’Elfo e Olinda, uno in pieno corso Buenos Aires, l’altro nella periferia estrema, rappresentano due centri vivi, che vedono nella relazione con l’altro il senso del proprio esistere. E c’è una frase che colpisce, pronunciata da Volani durante la visita: “I medici e gli infermieri temevano che le persone, che fino a quel momento avevano vissuto lì dentro, potessero uscire, una volta che il cancello fosse stato aperto, ma non è mai successo. Invece, quello che è successo, è stato il recupero della socialità. Le persone hanno cominciato a venire e si è creato uno scambio, si è stati insieme”. Ancora una volta l’incontro, lo scambio con l’altro, il farsi luogo insieme.
“Se non c’è il corpo vivo dell’attore, se non c’è quello dello spettatore, non c’è il teatro”, sostiene da sempre Martinelli. “In questi mesi di Coronavirus, questa affermazione può suonare strana, ma anche oggi contiene l’essenziale, come trent’anni fa, come tremila anni or sono”.
“Siamo molto soddisfatti – ha concluso Alessandro Argnani, condirettore di Ravenna Teatro che proprio 14 anni fa ha inaugurato la non-scuola a Olinda -: per noi si è trattato di un esperimento riuscito, la prima edizione di un percorso che intendiamo perseguire per favorire la conoscenza del teatro non solo attraverso il palco, ma anche tramite i rapporti umani con chi il teatro lo porta in scena e crede che lo si possa incarnare solo attraverso il confronto con lo spettatore”.