Tag: voce

Intervista a Maurizio Rippa

Attore sensibile e armonioso cantante, Maurizio Rippa dà vita in Piccoli Funerali – in scena al Teatro Socjale di Piangipane sabato 13 novembre alle 21 – a una partitura drammaturgica e musicale dedicata a coloro che ci hanno lasciato. È un atto d’amore, un dono, un saluto; un momento intimo e personale che trova forza nella musica. È uno spettacolo che – in dodici movimenti – si fa strumento di memoria affettiva e di elaborazione del lutto, creando uno spazio poetico e sottile per il tema della morte in una società che ne esercita la rimozione. Ogni brano – da “Love me tender” di Elvis Presley a “Moon river” di Johnny Mercer e Henry Mancini, da “In the end” di Scott Matthew al traditional “Oh Danny boy” – è un gesto che riporta a una memoria. Ogni funerale è raccontato da di chi se ne va e attraversa una vita appena vissuta. Piccoli Funerali è uno spettacolo commovente e dolcissimo capace di accogliere il dolore e trasformarlo in rinascita. Rippa ha avuto una carriera molto particolare, tra musica e teatro, e ha lavorato, tra gli altri, con Carmelo Bene, Armando Punzo, Antonio Latella, Roberto De Simone, Vincenzo Pirrotta e cantato con direttori del calibro di Alan Curtis e René Clemencic. Piccoli Funerali ha vinto nel 2019 la VI edizione de “I Teatri del Sacro” di Ascoli Piceno.

Rippa, il suo metodo per eliminare la paura e l’ansia nell’esibirsi in pubblico, ossia dedicare ciò che fa sul palco a qualcuno, sembra, a posteriori, una sorta di “uovo di Colombo”. Come si è accorto che la dedica ha un potere catartico enorme?

«Ho iniziato dalla seconda replica del mio primo spettacolo (credo nell’86) a dedicare il mio lavoro sul palco a qualcuno. Devo ammettere che all’inizio per me era solo un escamotage per superare l’ansia di prestazione, poi una sorta di rito scaramantico, poi ho sentito che questa era una vera necessità, l’ingrediente fondamentale non per fare una buona performance, ma per sentire che il mio lavoro avesse sempre come motore principale l’affetto, e non una semplice esibizione di un mio presunto talento. Negli anni ho capito che ogni “performer” si esibisce con motivazioni e modi diversi: chi per dimostrare le proprie abilità, chi per egocentrismo, chi per sentirsi amato, chi per un “fuoco sacro”, chi per sfuggire alla realtà. Per quel che mi riguarda ho capito quasi subito che soffrivo molto a esibirmi davanti a un pubblico “generico”, inteso come insieme indistinto di persone che mi osservavano fare cose. Lo trovavo estremamente egoistico da parte mia, e soprattutto mi facevo sempre la stessa domanda: ma perché tutte queste persone dovrebbero stare qui ferme e zitte ad ascoltare e vedere me? Trovo molto più onesto per me, forse banalmente, esibire quello che è il risultato di prove, esercizio, imposizioni registiche, paure e gioie dirigendo il mio pensiero e affetto verso qualcuno, e “offrire” questo al pubblico, quasi come una confidenza, come quando si confessa a un amico che ci siamo innamorati. Sono cose non facilissime per me da spiegare razionalmente, ma credo che abbiano a che fare con l’intimità tra me le persone presenti».

E, a maggior ragione in uno spettacolo come Piccoli Funerali, vien da pensare che il dedicare il lavoro a qualcuno si sia trasformato in una grande forza lirica e creatrice, quasi un elemento drammaturgico…

«È stato come mettere le carte in tavola, svelare il trucco di un gioco di prestigio, in maniera talmente semplice che credo possa anche spiazzare. Ho capito subito che se volevo fare un lavoro del genere avrei dovuto essere chiaro dall’inizio, spiegare cose avrei voluto fare (che fin dalle prime lezioni di teatro ti dicono tutti che non va mai fatto). Per me rivelare la mia modalità di esibirmi è come se mi denudassi davanti al pubblico, per questo direi che la dedica è forse l’unico elemento drammaturgico».

Anche le canzoni che accompagnano ogni episodio dello spettacolo creano quasi una narrazione a sé. È stato difficile arrivare alla loro scelta?

«In realtà sono canzoni che mi sono venuto in mente già mentre scrivevo il testo, quasi come colonna sonora, e la cosa in comune di tutte le canzoni è che volevo che fossero in un’altra lingua, per non aggiungere testo al testo parlato. Il fatto che io parli malissimo lingue straniere mi fa vivere le parole delle canzoni più come suono che come significato. Per me Piccoli Funerali ha come protagonisti delle persone che si raccontano accompagnati da suoni, e ho la fortuna di essere accompagnato da Amedeo Monda, che è un musicista molto sensibile, capace di ascoltare e assecondare tutte variazione che il mio stato emotivo della sera gli propone».

Cosa ha rappresentato Piccoli Funerali per la sua vita artistica? Penso anche all’intimissimo contatto con il pubblico prima dell’ultima canzone…

«In generale sono terrorizzato dal “pubblico”, inteso come insieme di persone indistinte. Soprattutto guardare i visi. Nella maggior parte degli spettacoli le luci creano una barriera che non ti permette di vedere il pubblico; non lo vedi ma sai che c’è. In Piccoli Funerali trovo fondamentale guardare le persone, vedere gli sguardi, guardarle negli occhi, è una cosa che mi terrorizza ma la trovo necessaria, è una questione di onestà. In qualche modo penso che potrebbe essere il mio ultimo spettacolo, dove lo stare in scena è una dedica a ogni singola persona presente. Per me rappresenta il mio modo di espormi in tutta la mia fragilità e imperfezione. L’ultima canzone e quello che accade prima sono tra le cose più intime ed emotivamente forti che ho mai provato in scena. Come se ogni persona presente venisse a darmi un bacio».

Ci sono differenze tra il porsi sulla scena per uno spettacolo teatrale e un concerto?

«È una domanda che meriterebbe una risposta lunghissima. Il mio primo testo (con un moto di orgoglio e narcisismo dico che ho vinto una menzione speciale alla prima edizione del premio Dante Cappelletti) si chiamava “Nella musica c’è tutto, meglio stare fermi”, dove mi esibivo in un vero concerto ma tra una canzone e un’altra dicevo ad alta voce tutti i pensieri, i dubbi, le paure di un cantante durante un concerto. Le differenze fondamentali sono per lo più fisiche: un attore sa non solo cosa dire ma anche come deve muoversi, fosse anche come imposizione registica. Il cantante in genere sa come cantare, ma il più delle volte si barcamena per gestire piedi, mani, corpo, attingendo spesso a convenzioni e stereotipi. Direi, per banalizzare, che recitare è molto corporeo, cantare è molto etereo. Essendo sia attore che cantante spesso dico che quando canto penso da attore, e quando recito penso da cantante, che potrebbe sembrare una cosa fantastica, ma in realtà è solo un modo mio per mettermi a disagio, perché credo che la comodità non si adatti al palco e perché credo di essere bravissimo a complicarmi la vita».

Intervista di Alessandro Fogli.

Nasce MALAGOLA – Scuola di vocalità e Centro studi sulla voce

Presentato a Bologna il progetto Malagola

Ideatrice e direttrice è Ermanna Montanari. Vicedirettore è Enrico Pitozzi. Dal 18 ottobre 2021 al 14 aprile 2022 avrà luogo il Corso di alta formazione Pratiche di creazione vocale e sonora, con incontri, seminari e un primo nucleo degli archivi sonori. Un UNICUM in Italia con un respiro internazionale, a partire da alcune presenze all’interno del Corpus docenti

Poco più di un anno fa, nel febbraio 2020, Ermanna Montanari inizia a coltivare le scintille di un progetto dedicato alla radice più profonda della sua ricerca artistica di attrice\autrice e concepisce il “Piccolo manifesto della Scuola di vocalità”. Dai nove punti in cui si articola lo scritto iniziava l’avventura creativa e formativa del futuro prossimo di Malagolaun progetto di scuola e centro studi sulla voce ideato e voluto fortemente da Ermanna Montanari, co-fondatrice e direzione artistica del Teatro delle Albe, attrice iconica e pluripremiata per la sua ricerca attoriale e sulle pratiche legate alla vocalità e al rapporto inscindibile con la creazione musicale e sonora.

Al fianco di Ermanna Montanari, in qualità di vicedirettore, lo studioso e docente dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna Enrico Pitozzi, che, da tempo, ha intrecciato un dialogo con Montanari intorno ai temi della voce e del suono. Tale dialogo ha dato come frutti due pubblicazioni: Acusma (Quodlibet, 2017) e Cellula (scritto con Ermanna Montanari, Quodlibet, 2021).

Oltre alla città di Ravenna, in cui il progetto individuato insieme al Comune ha sede tra il Teatro Rasi e gli spazi di Palazzo Malagola, che hanno segnato questo inizio, obiettivo e volontà di questo primo anno di percorso sono quelli di intrecciare relazioni sul territorio regionale, nazionale ed internazionale, valorizzando la relazione con le Istituzioni e gli Enti territoriali a partire da ERT /Teatro Nazionale e con il suo direttore Valter Malosti, in una prospettiva di condivisione, collaborazione e costruzione progettuale. Un gesto quello del direttore Malosti, in continuità con un dialogo acceso e duraturo che esiste da anni con Ermanna Montanari e il Teatro delle Albe, una risposta a intraprendere un’avventura che è anche un avvio a confrontarsi e scoprire sempre più poetiche condivise.

 

Malagola si va connotando, già da questo primo anno, come un luogo qualificato da un respiro internazionale e aperto al territorio, come centro studi e accoglienza di esperienze artistiche. Un archivio vivente e in continuità con la storia e il prossimo futuro in un duplice percorso: da una parte spazio di archivi sonori e audiovisivi dedicati alla scena contemporanea, intrecciati a doppio filo alla scuola di vocalità; dall’altra è luogo di pratiche condivise, che erediteranno l’energia delle centinaia di cittadini che hanno dato vita, negli ultimi anni, all’esperienza del Cantiere Dante.

Una scuola in cui, per usare le parole di Montanari, «si pratica una disciplina gioiosa e esigentissima attraverso l’avventura della propria voce e del proprio corpo, dove la voce è il corpo, dove ognuno è pianeta sonoro e radice della sostanza, che prenderà forma nel tempo che ci daremo. Un luogo plurale, abitato dalla città, in opera con la città, e al contempo separato, concepito in un’ottica di corresponsabilità collettiva, con la consapevolezza che ogni singola nostra cellula ha una storia, ed è depositaria di una memoria non solo sensoriale, ma immaginifica e poetica».

Una scuola come archivio dell’ascolto che guarda a riferimenti di figure che hanno lasciato un’orma indelebile: «Antonin Artaud, Laurie Anderson, Meredith Monk, Carmelo Bene, Maria Callas – leggiamo sempre nel “manifesto” della Scuola a firma di Ermanna Montanari – il vento, le rose, l’acqua, le preghiere, la gente, Demetrio Stratos, Leo de Berardinis, Perla Peragallo, Janis Joplin, e altri loro nostri compagni e compagne di via. E luogo di incontrollato sgorgare delle emozioni, urla echeggi soffi risa».

 

Al centro della Scuola di vocalità, il corso di Alta Formazione MALAGOLA Pratiche di creazione vocale e sonora (operazione approvata dalla Regione Emilia-Romagna con Delibera di GR n.401 del 29/03/2021, Rif.PA 2020-15422/RER e cofinanziata con risorse del Fondo sociale europeo P.O. 2014-2020 e della Regione Emilia-Romagna; operazione di cui Fondazione Simonini segue per Ravenna Teatro gli aspetti progettuali/gestionali), con inizio il prossimo ottobre e che fa parte delle attività di formazione teorico- pratiche avviate dal Centro di produzione e neo ente di formazione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro.

Il corso, a frequentazione gratuita per gli artisti e i professionisti partecipanti, ha avuto 131 candidature per 15 posti disponibili. Nel gruppo di selezionati ci sono, come da obiettivi, figure che gravitano a diverso titolo nell’ambito della creazione e della comunicazione artistica – nello spettro ampio che va dal teatro (performer, attori, cantanti e/o strumentisti) alla produzione multimediale (radio, audioguide, audiolibri, ecc.).
Le lezioni iniziano ufficialmente lunedì 18 ottobre.

Molte sono le figure che andranno a comporre la costellazione del corpo docente, al confine tra territori artistici e ricerca, tra musica e teatro, creazione e attività formativa. Il modello di collaborazioni può prevedere anche residenze artistiche e, tra i nomi coinvolti – insieme a Montanari e Pitozzi – quelli di Meredith Monk, Mariangela Gualtieri, Moni Ovadia, Chiara Guidi, Francesca Proia, Roberto Latini, Mirella Mastronardi, Francesco Giomi, Luigi Ceccarelli, Diego Schiavo, Daniele Roccato, Alvin Curran. Presenze ospiti come Vinicio Capossela e anche foniatri come Franco Fussi e teorici del calibro di Piersandra Di Matteo, Valentina Valentini, Caterina Piccione e Bonnie Marranca, oltre a importanti esponenti del management delle arti performative, come Patrizia Cuoco e lo sfaff del Teatro delle Albe.

Sarà Silvia Pagliano ad assumere la direzione organizzativa del progetto, lavorando con la squadra organizzativa e tecnica del Teatro delle Albe/Ravenna Teatro.

MALAGOLA è segnato dal tratto del disegnatore Stefano Ricci, che ha composto il logo, i materiali ed è intervenuto su alcuni spazi del palazzo stesso, insieme al progetto poetico per i social di Malagola di Marco Sciotto, ricercatore dell’Ateneo di Catania-facoltà di Scienze Umanistiche.

 

Tra i partner del corso a livello regionale, nazionale e internazionale che aderiscono al progetto: Fondazione Ravenna Manifestazioni-Ravenna Festival, Santarcangelo dei Teatri-Santarcangelo Festival, Istituto Superiore di Studi Musicali G. Verdi, Associazione Culturale Masque Teatro, Pms Studio Music Label and Recording Studio, L’arboreto – Teatro Dimora Mondaino, Ater Fondazione, BH Studio, Fondazione Flaminia, Start Cinema, Istituzione Biblioteca Classense, Mar – Museo d’Arte della Città, Fondazione I Teatri, La Voce Artistica, Edison Studio Associazione Culturale, Italian and American Playwrights project-Umanism LLC- Martin E. Segal Theatre Center, The International Voices Project.

Il progetto MALAGOLA, come percorso cardine del Centro di produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, è sostenuto dal Comune di Ravenna dall’Assessorato alla Cultura e Paesaggio della Regione Emilia Romagna e dal Ministero della Cultura.

In questo suo primo anno è stato in grado di intercettare, insieme alle risorse del Centro di produzione, il contributo di € 72.052 dell’Assessorato alla Formazione della Regione Emilia Romagna-cofinanziato dal FSE e il contributo di 28.000 € di SCENA UNITA – per i lavoratori della Musica e dello Spettacolo, fondo privato gestito da Fondazione Cesvi – organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente, fondata a Bergamo nel 1985 – in collaborazione con La Musica Che Gira e Music Innovation Hub.

MALAGOLA ha inoltre il supporto di GRUPPO BOERO attraverso il Brand ATTIVA dedciato ai professionisti dell’edilizia e il partner Tintored di Crespellano-Valsamoggia (BO).

Ermanna Montanari dall’8 all’11 ottobre è in scena nello storico spazio del Centro di Ricerca Musicale – Teatro San Leonardo con MADRE [di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci e Daniele Roccato; dal poemetto scenico di Marco Martinelli] nell’ambito di “Matria. immaginari della maternità contemporanea” a cura di ERT /Teatro Nazionale con la collaborazione di AngelicA | Centro di Ricerca Musicale e DAMSLab | La Soffitta, Università di Bologna.

 

Fotografie di Enrico Fedrigoli

Foto di copertina di Fabrizio Zani