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Marco Baliani e la centralità dell’ascolto

LA STAGIONE DEI TEATRI 2023-2024

 

In occasione di Kohlhaas, in scena  per La Stagione dei Teatri 2023/2024 da giovedì 23 novembre a sabato 25 alle 21:00 e domenica 26 alle 15.30 al Teatro Alighieri, Federica Ferruzzi ha intervistato Marco Baliani, attore e regista.

Marco Baliani @Luca Deravignone

Marco Baliani è tante cose: un attore, un regista, uno scrittore. Alla base di tutto c’è una fine capacità di narrazione che lo ha reso, sul finire degli anni ’80, involontario pioniere del teatro di narrazione. Una vita spesa a raccontare, prima ai piccoli poi ai grandi, poi ad entrambi, con la convinzione, come diceva Italo Calvino, che “sta al narratore organizzare i passaggi obbligati per arrivare alla soluzione della storia, tenerli su uno sopra l’altro come i mattoni di un muro e usando per cemento l’arte sua”.

L’autore di Corpo di Stato sarà ospite de La Stagione dei Teatri con due spettacoli – Kohlhaas e Una notte sbagliata (che si aggiungono a Frollo, contenuto nella Stagione Famiglie e Scuole) – accomunati dal tema del sopruso e del diritto violato.

“A me piace affrontare temi che riguardano il passato prossimo – osserva Baliani – ma non dal punto di vista del teatro civile: non voglio dare una spiegazione di come sono andate le cose, non mi piace l’intervento didascalico, tantomeno didattico, perché credo che il teatro abbia bisogno di conflitti. Se ci si pone dal punto di vista del cronista, allora questo lo sanno fare meglio i vari Travaglio, Iacona, che, infatti, riempiono i teatri. Con Corpo di Stato non volevo raccontare la vicenda di Aldo Moro, ma cosa è successo a me in quei cinquantacinque giorni. Sono stato spietatamente sincero, non volevo dare un giudizio storico, così come con Una notte sbagliata non volevo riferirmi direttamente alla vicenda di Cucchi, ma volevo analizzare la violenza sull’inerme. La mia è una domanda esistenziale, non politica. Non volevo trattare il fatto di cronaca, ma mi interessava fornire i diversi punti di vista di chi partecipa alla vicenda: per questo prima divento l’inerme, poi i poliziotti, poi il cane che assiste alla scena. Questo per dire che la realtà è più complicata di come appare. A me piace quando il pubblico va via inquieto, col ‘magone’. Non mi interessa suscitare indignazione, perché questo sentimento assolve colui che lo prova e serve solo a mettere la coscienza a posto. Quando il teatro civile fa questo, non pone domande, semplicemente espone un giudizio”.

Come nasce il teatro di narrazione?

“Teatro di narrazione è un’etichetta inventata dai critici Ugo Ronfani e Renato Palazzi, che vennero a vedere Kohlhaas, primo esempio di questo genere, nel 1989. In realtà lo spettacolo nasce due anni prima per le scuole, nell’ ‘87. La domanda da cui scaturisce è: ‘Come ci si comporta davanti ad un’ingiustizia subita?’, ovvero una delle tante domande che hanno a che fare con la complessità della nostra vita, che è fatta di luci e ombre. Amo le fiabe perché ci dimostrano che la vita è complessa e complicata, il protagonista non sa mai che pesci prendere, detto questo non avrei mai pensato di creare un genere. Da quella volta, tutti quelli che lavorano sulla dimensione dell’attore che, da solo, racconta una storia, vengono iscritti in questo filone, che nel tempo è diventato gigantesco e contempla anche cattedre all’Università. Forse ho solo dato inizio a qualcosa che era già nella società, semplicemente l’orecchio è stato rimesso al centro”.

Lei ha iniziato la sua attività lavorando con i ragazzi: com’è, oggi, il dialogo con le giovani generazioni?

“È un dialogo difficilissimo: poveri, quegli insegnanti, che hanno a che fare con nuove tribù di giovani. Oggi parte del sapere arriva dai social e non sappiamo ancora cosa produrranno questi strumenti; resta il fatto che, tramite un cellulare, passa un’ingente quantità di informazioni molto superficiale. Sono informazioni liquide, che però in un modo o nell’altro producono sapere e non possiamo fare finta che non sia così. Dovremmo iniziare a mettere al centro i sentimenti piuttosto che il logos. Prima, quando si studiavano gli Assiri, ci voleva tempo per ricercare le informazioni, ora è tutto immediatamente disponibile su Wikipedia. A questo punto la scuola si dovrebbe occupare del tempo residuo, del tempo che si risparmia nel non dover condurre la ricerca. I social non vanno demonizzati, credo che occorra barcamenarsi tra il futuro che ci attende e il passato che abbiamo. Non dimentichiamoci che il racconto ha cementato dai primordi il consesso umano e che quindi tutto è ancora possibile. Quando porto in scena lo spettacolo Frollo, i ragazzi stanno a bocca aperta dall’inizio alla fine, dimostrando che la voglia di ascoltare è insita nel nostro dna”. 

Per Rai Radio 3 insieme a suo figlio Mirto sta portando avanti il progetto l’Italia è una favola, in cui ad ogni regione viene associata, appunto, una fiaba. Quale ha scelto per l’Emilia-Romagna?

“Ho scelto La regina dello stagno, una fiaba bolognese che parla di animali. Ogni favola, e sono ovviamente venti, ha una caratteristica diversa: questa è governata da un’animalità totale e racconta di una regina immersa in uno stagno che ne uscirà grazie all’impegno del protagonista Sandrino. L’Italia è una favola è un progetto dedicato a Italo Calvino, sono fiabe rivisitate da me, con Mirto (suo figlio ndr) che si occupa delle musiche e, in appendice ad ogni puntata, c’è un dialogo con l’antropologo Marino Niola. È un lungo lavoro che mi riporta alle origini, a quando ho iniziato a raccontare fiabe ai bambini”. 

Oggi abita a Ravenna: cosa le piace di questa città?

“Abito a Ravenna da poco prima dell’alluvione, sono stato ‘battezzato’ da questo terribile evento. Ho vissuto tanti anni a Roma, poi a Parma e infine a Ravenna e sono dell’idea che non si possa vivere in posti brutti. Ho trascorso l’adolescenza ad Acilia, una borgata romana da cui sono riuscito a scappare grazie ai libri, alle letture, che mi hanno rivelato altre possibilità di vita. Ravenna è meravigliosa, mi piace la sua urbanistica, l’idea che dal centro, spostandosi verso la periferia, si incontrino case basse e non palazzoni”.

Dopo il primo dei tre spettacoli in Stagione, Kohlhaas, lunedì 27, alle 15.30, proporrà una lezione aperta al pubblico, di cosa si tratta?

“Sarà uno smontaggio drammaturgico dell’opera: ne racconterò la struttura ritmica, sarà una lezione di teatro per gli spettatori che lo hanno visto, ma soprattutto per tutti coloro che amano il teatro. L’ho fatto pochissime volte, da quando abbiamo creato lo spettacolo, ma è sempre una bellissima forma di trasmissione”.

Mercadini: “Un applauso vale più di un like”

LA STAGIONE DEI TEATRI 2022-2023

FUORI PROGRAMMA

 

Intervista di Federica Ferruzzi a Roberto Mercadini

 

“Sono, da sempre, appassionato di poesia, letteratura e teatro, ma quando è stato il momento di scegliere, ho avuto il timore che questi studi non mi garantissero un lavoro, così mi sono iscritto alla Facoltà di Ingegneria. Per dieci anni ho fatto l’informatico, ma nel frattempo scrivevo e studiavo, coltivando la passione per la scrittura e il teatro, fino a che l’impegno e l’attribuzione del lavoro di artista divennero tali da permettermi e costringermi a lasciare il lavoro di ufficio”.

Si presenta così Roberto Mercadini, scrittore cesenate, che sabato 28 gennaio porterà in scena, al Teatro Rasi, lo spettacolo dal titolo Orlando Furioso, fuori programma de La Stagione dei Teatri.

“Mi sono avvicinato a quest’Opera – spiega – perché, nel 2015, mi è stato commissionato un monologo sull’Orlando Furioso, in occasione dei cinquecento anni dalla prima edizione. Spesso, infatti, proprio come gli artisti rinascimentali, eseguo lavori su commissione.

Io sono un narratore, dunque ho immaginato una narrazione e ho cercato di individuare, nell’immenso e intricato Poema, alcune figure chiave. La prima, ovviamente, è Orlando, mentre la seconda è Angelica, che fugge continuamente: un simbolo potente di quello che succede a tutti in tutto il Poema, ovvero correre dietro qualcosa che non si fa afferrare. Poi c’è Astolfo, il personaggio più visionario e immaginifico di tutta la letteratura, testimone del fatto che il Poema sia sprizzante di fantasia; accanto a lui Bradamante, il cavaliere perfetto. Cucendo insieme le vicende di questi quattro personaggi, mantenendo una linea che è stata per forza di cose una sintesi estrema, mi è sembrato di dare un’immagine, per quanto semplificata e imperfetta, della ricchezza del Poema.

Io sono nato come teatrante e ho usato YouTube come vetrina, come modo per portare la gente in teatro, un mezzo per far conoscere quello che faccio. Lo scopo non è realizzare visualizzazioni, ma invogliare le persone a venire in teatro. Spesso mi sento dire: ‘Mi piacciono i tuoi video, ma dal vivo sei molto meglio’ e questo mi rende felice, perché il mio vero mestiere è questo, stare sulle tavole di un palcoscenico a far ridere e piangere le persone. Sentire una risata vale mille volte di più che vedere un’icona con la risata e sentire un applauso vale mille volte di più di un like”.