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Annuale della morte di Dante Alighieri, 702° anniversario

 

Ravenna Teatro / Teatro delle Albe continua a partecipare attivamente all’Annuale della morte di Dante Alighieri, che domenica 10 settembre (le iniziative inizieranno il giorno prima) prevede la celebrazione dei 702 anni dalla morte con un evento che vede la direzione artistica di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, co-fondatori del Teatro delle Albe.

La giornata di domenica inizierà nella sala Dantesca della biblioteca Classense, alle 10, con la Prolusione, tenuta quest’anno da Paolo Nori. Scrittore, traduttore ed esperto di letteratura russa, Nori ha anticipato il titolo del suo intervento: I sandali di Dante. La sua presenza si coniuga con la stretta attualità del tragico conflitto russo-ucraino ma anche con la ricezione di Dante nel mondo culturale della “Terza Roma”, con poeti come Puškin, Achmatova o Blok che al Sommo Poeta hanno guardato costantemente o che addirittura, come Osip Mandel’štam nei gulag, si sono portati il testo dantesco, magari anche a memoria, fin dentro i momenti più tragici della loro vita.

Alle 11 il pubblico si sposterà verso la zona Dantesca, insieme al sindaco Michele de Pascale e all’assessore alla Cultura Fabio Sbaraglia. Davanti alla Tomba di Dante, Ermanna Montanari e Marco Martinelli leggeranno il Canto II dell’Inferno con la partecipazione delle cittadine e dei cittadini della Chiamata Pubblica, che dal 2017, con la produzione di Ravenna Festival e del Comune di Ravenna, lavorano insieme alle Albe per “mettere in vita” le cantiche della Divina Commedia. La lettura verrà introdotta da un’intensa lirica da loro richiesta a Nevio Spadoni sulla recente alluvione, un gesto di solidarietà e memoria per la nostra terra. I due fondatori delle Albe hanno inoltre coinvolto un’interprete d’eccezione, Isabella Ragonese attrice, drammaturga, regista tra teatro e cinema, a leggere dall’arengo del Palazzo della Provincia il Canto V dell’Inferno e il Coro Ludus Vocalis Ragazzi diretto dal maestro Elisabetta Agostini per l’intervento canoro.

Alle 11.45 sarà poi la volta della Messa di Dante, la consueta celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo emerito di Verona, mons. Giuseppe Zenti, nella basilica di San Francesco.

Alle 12.45, all’interno della Tomba di Dante, si terrà la Cerimonia dell’Olio, la tradizionale offerta dell’olio al sepolcro del Poeta da parte del Comune di Firenze: si tratta della rappresentazione concreta dell’unione delle due città nel commosso ricordo di Dante, un evento che si tiene fin dal 1908.

“Le iniziative che Ravenna ha messo in campo negli anni – osserva Marco Martinelli – sono sempre state di alto livello; forse la particolarità del Cantiere Dante – realizzato con il contributo di Fondazione Ravenna Festival e del Comune di Ravenna – è di aver fatto percepire Dante, citando Ezra Pound, come una sorta di Everyman: ‘Dante is everyman’, nel senso che ognuno di noi è Dante, un cittadino disperato all’interno della selva oscura che anela alla luce. Ogni periodo storico rappresenta questa selva: i centenari sono fondamentali, ma ogni giorno è importante per celebrare questo passaggio, che va dalla violenza della guerra e degli stupri ad un altro modo di stare insieme. Dopo Dante, quest’anno abbiamo intrapreso un nuovo percorso con Cervantes, ed è stato un bellissimo passaggio di testimone, in quanto segnato da un’altra opera-mondo”. Conclude Martinelli: “Ogni giorno e ogni anno sono importanti, non è solo retorica e lo abbiamo visto in questi anni quanto questa città desideri attraversare il capolavoro di Dante”. Guardando agli ultimi due anni, il regista aggiunge: “La città che più ha festeggiato il Poeta durante il centenario è stata New York, dove siamo stati di recente con il nostro spettacolo fedeli d’amore e dove abbiamo lavorato con i cittadini su Dante e sul primo canto della Commedia, che per noi è fondamentale per quello stare dentro la selva oscura, dentro il pantano della nostra anima, dei nostri giorni. C’erano una cinquantina di newyorkesi che lavoravano con noi sulla Divina Commedia e che ci dicevano quello che ci hanno sempre detto i ravennati: ‘Dante è la chiave per entrare in noi stessi’. Questo lo spirito che guiderà l’azione di domenica 10, alle ore 11:00, quando insieme ai cittadini verrà portato in piazza il secondo canto dell’Inferno. “Nel primo sei perso nella selva, mentre nel secondo canto ti cedono le gambe. Avevi deciso di andare oltre, poi inizi a dire: ‘perché proprio io?’. Lo ha fatto Enea, lo ha fatto San Paolo, ma chi sono io? In quel momento, Dante siamo tutti noi, che ci chiediamo perché dobbiamo affrontare le nostre paure e il nostro senso di finitezza. Abbiamo così chiesto all’amico Nevio Spadoni – vanto della città, che ha appena vinto il Premio Lerici – di scrivere una poesia sull’alluvione, la ‘selva oscura’ in cui tanti di noi sono stati”. La lettura, a cura di Ermanna Montanari, precederà la performance corale del secondo canto. “Di seguito, abbiamo chiamato ad intervenire un’attrice, Isabella Ragonese, una delle voci più belle e raffinate di cinema e di teatro, che dal balcone del Palazzo della Provincia leggerà il V canto dell’Inferno e ci parlerà dell’amor ch’a nullo amato amar perdona”.

“Il grande coinvolgimento con cui i ravennati e le ravennati partecipano alle iniziative del settembre dantesco – afferma l’assessore alla Cultura del Comune di Ravenna, Fabio Sbaraglia – è una delle eredità più felici che ci consegnano le ultime celebrazioni del centenario del 2021. Tra queste, la cerimonia dell’annuale costituisce certamente il momento più popolare e aggregativo. Anche quest’anno siamo felici di presentare un programma ricco e di altissimo profilo, che anche per quest’anno vede la collaborazione di importanti artisti e operatori”.

IL PROGRAMMA

Come anticipato, l’Annuale inizierà sabato 9 settembre e si concluderà domenica 10. Questo il programma della giornata di sabato.

Il programma prevede alle 15 di sabato 9 la visita guidata a cura di Giulia Liguori alla mostra Il Dante di Wolfango in Classense, appositamente prorogata fino al 16 settembre per dare l’opportunità anche alle persone in visita a Ravenna per l’Annuale di poterla vedere (gratuita, prenotazione obbligatoria: 0544482112segreteriaclas@comune.ra.it).

A seguire, alle 16, l’ultimo incontro delle Letture Classensi 2022/23, originariamente previste per il 20 maggio ma annullate per le vicende legate agli eventi climatici che hanno sconvolto il territorio romagnolo. Col coordinamento di Loredana Chines, ordinaria di Letteratura Italiana presso l’Università di Bologna, nella sala Dantesca della biblioteca Classense verrà presentato il volume n. 51 delle Letture, intitolato Dante e l’eredità dei classici, a cura di Stefano Carrai (Ravenna, Longo Editore, 2023). Oltre al curatore saranno presenti Sara Calculli, Paolo Falzone, Sonia Gentili e Giorgio Inglese, autori di alcuni dei saggi pubblicati.

Sempre sabato 9, alle 10.30, alle 11.30 e alle 17, a Casa Dante, la Fondazione RavennAntica organizza le visite guidate La Ravenna di Dante, tra Romanticismo e contemporaneità, tenute da Nicola Ghinassi e Veronica Quarti (prenotazione consigliata: tel. 320-9539916 oppure prenotazioni@ravennantica.org, costo 3 €).

Alle 16, sempre a Casa Dante, visita animata per i più piccoli a cura della sezione didattica di Fondazione RavennAntica: C’era una volta Dante Alighieri. Conosciamo il Sommo Poeta attraverso gli oggetti e le testimonianze di Museo e Casa Dante, tra racconti, giochi e quiz (prenotazione obbligatoria: tel. 0544-473717 da lunedì a venerdì ore 9-13, durata 1h e 30’, costi: € 9, accompagnatori gratuito). L’appuntamento è organizzato nell’ambito di A spasso con Dante: Dante raccontato ai più piccoli, una serie di laboratori creativi per bambini dai 5 agli 11 anni che seguiranno anche per i successivi sabati del mese di settembre.

La giornata si concluderà alle 18 alla Tomba di Dante con L’ora che volge il disio, lettura perpetua della Commedia dedicata al canto XXI del Paradiso a cura di Stefano Carrai.

Premio ANCT per Chiamata pubblica

Ermanna Montanari e Marco Martinelli hanno ricevuto il premio dell’Associazione Nazionale dei critici di Teatro per il progetto Chiamata pubblica per La Divina CommediaIeri, lunedì 14 novembre, si è tenuta al Teatro Nuovo di Napoli la cerimonia di consegna dei premi ANCT (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro).

Ermanna Montanari e Marco Martinelli in una foto di Marco Caselli Nirmal durante Purgatorio

I due fondatori e direttori artistici del Teatro delle AlbeErmanna Montanari e Marco Martinelli – hanno ideato il Cantiere Dante, nel 2017, progetto che ha coinvolto migliaia di cittadini e cittadine di Ravenna, ma non solo, accanto agli attori e alle attrici della compagnia.

Un lavoro di scavo e approfondimento intorno a Dante, in occasione dei sette secoli della sua morte, che è stato scandito dalla musica di Luigi Ceccarelli, che si è avvalso delle scene e dei costumi degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano – Scuola di Scenografia e Costume – guidati da Edoardo Sanchi e Paola Giorgi, delle luci di Francesco Catacchio e Fabio Sajiz e del suound design di Marco Olivieri.

Una reale e palpitante “messa in vita” della Commedia dantesca, che si è conclusa nel 2022 (un anno dopo, causa interruzioni pandemiche) con la realizzazione di Paradiso, ogni volta a partire dal luogo simbolo, il tempietto dove il poeta è sepolto a fianco della Basilica di San Francesco, dove si sono celebrati i funerali del sommo poeta nel 1321.

Il premio al progettoproduzione di Ravenna Festival, con il sostegno del Comune di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna, e di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 per Purgatorio – valorizza quindi un lungo lavoro di tessitura di rapporti locali, nazionali e internazionali, che vedono in Ravenna il proprio punto di partenza.

Caratteristica del progetto, forte di una mescolanza tra alto e basso, tra la sacra rappresentazione medievale e il “teatro di massa” di Majakovskij, è quella di calare lo spettatore nei panni di Dante e di rendere protagonista la sostanza corale, insieme spirituale e politica, del teatro.

Da questa creazione sono nati altri progetti nel segno del sommo poeta, tra cui Dante nei cinque continenti, sostenuto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dall’Istituto italiano di Cultura di Buenos Aires e di New York, che ha debuttato nel mese di ottobre al Teatro San Martín/Complejo Teatral di Buenos Aires, uno tra i più importanti e iconici teatri della capitale argentina.

“Le mie più sincere congratulazioni a Marco Martinelli ed Ermanna Montanari per questo importante e meritato riconoscimento che ci riempie di orgoglio e soddisfazione – è il commento del sindaco di Ravenna, Michele De Pascale -. Questo premio coglie l’assoluta straordinarietà dell’esperienza Chiamata Pubblica per La Divina Commedia che ha rappresentato molto più di una bellissima opera teatrale. È stata la dimostrazione concreta di una comunità capace di unire le proprie energie per dare vita a una meravigliosa avventura collettiva di cui ci siamo sentiti tutti e tutte protagonisti. L’arte di Ermanna Montanari e Marco Martinelli ha saputo raccogliere i versi del Poeta per esaltarne il legame con la contemporaneità, in una profonda connessione con lo spirito della Divina Commedia. Ancora una volta il Teatro delle Albe porta il nome di Ravenna nelle eccellenze nazionali e internazionali della produzione teatrale contemporanea”.

Ravenna Festival, che ha fortemente voluto questo straordinario progetto di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, non può che essere molto felice ed orgoglioso per questo ulteriore riconoscimento al ‘Cantiere Dante’– osservano congiuntamente il sovrintendente Antonio De Rosa e il direttore artistico Franco Masotti -. Se la Divina Commedia è stata ‘messa in vita’ dal Teatro delle Albe e da tutti coloro che hanno così sapientemente e generosamente collaborato, anche la città stessa è tornata a vivere, nel suo festival, dopo il lungo silenzio provocato dalla pandemia, con un Paradiso tripudiante, luminoso e catartico. Ora Ravenna può dirsi ancora più di prima la città di Dante, la città della Commedia che si è fatta palcoscenico rendendo i suoi cittadini protagonisti di un grande affresco teatrale che ricorderemo a lungo”.

“Marco Martinelli e Ermanna Montanari – scrive Giulio Baffi, presidente ANCT, nella motivazione del Premio – sono i costruttori infaticabili di questa cattedrale dello spirito, sono gli artigiani al servizio della parola del poeta, sono gli architetti che hanno deciso di sfidare il cielo, di erigere questa loro cattedrale nel segno di un’urgenza: ridare corpo alla comunità attraverso la poesia. È infatti la vita, il suo flusso energetico, che Martinelli, Montanari e il Teatro delle Albe vanno cercando, sempre e comunque, con l’obiettivo, da rabdomanti della bellezza, di scoprire il fuoco nascosto di un’umanità che ha la potenzialità di essere connessa all’universale, di darsi per trasformare il mondo, renderlo migliore nell’attenzione dell’altro, nel contatto con l’altro”.

 

Breve cronologia dei premi ricevuti nel corso delle Chiamate pubbliche:

INFERNO – PURGATORIO  – PARADISO (2017 < 2022) 

La consegna dei premi della critica, manifestazione con cui l’Associazione nazionale dei critici di teatro segnala ogni anno gli spettacoli, i personaggi e le iniziative di particolare importanza registrate nella stagione precedente, si è tenuta quest’anno nel capoluogo campano lo scorso 14 novembre ed è stata ospitata dal Teatro Pubblico Campano nello storico Teatro Nuovo di Napoli.

Per INFERNO, Marco Martinelli e Ermanna Montanari hanno ricevuto altri prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali: Premio Ubu 2017 (“miglior progetto curatoriale”); Premio Associazione Nazionale dei Critici di Teatro-ANCT; Lauro Dantesco ad honorem e Premio Culturale della VDIG-Vereinigung Deutsch-Italienischer Kultur-Gesellschaften.

Per fedeli d’amore: Premio Ubu 2018 “miglior attrice” a Ermanna Montanari

Per PURGATORIO al Teatro delle Albe è stato assegnato il PREMIO AWARDS 2019 PER LA CULTURA dall’Ordine dei Dottori e degli Esperti Contabili di Ravenna per avere restituito ai cittadini di Ravenna l’opera del sommo poeta in chiave corale.

… innanzitutto.

La Stagione dei Teatri 2021/2022
Le sedie, di Eugène Ionesco, con Federica Fracassi e Michele Di Mauro e la regia di Valerio Binasco
28-29-30 aprile e 1 maggio 2022, Teatro Alighieri

 

In attesa dello spettacolo Le sedie, in scena per La Stagione dei Teatri dal 28 aprile al 1 maggio al Teatro Alighieri, vi proponiamo qui di seguito il testo “…innanzitutto” di Aldo Nove, tratto dai Quaderni del Teatro Stabile n. 12, Edizioni del Teatro Stabile di Torino.

Fotografia di Luigi De Palma

 

Valerio Binasco mi racconta della sua trasformazione alchemica di un classico del Novecento scandendo le parole e con un’emotività temperata dalla riflessione acuta di chi sa quanto una rappresentazione teatrale sia il risultato finale di una combinazione di fattori disparati.
Il regista li deve orchestrare accordandoli, come all’inizio di un concerto. Incontrarlo prima della prova del suo spettacolo mi ha dato la forte impressione della consapevolezza di un direttore d’orchestra che, dando vita a una partitura, ne stravolge per necessità quanto di morto ne rimane. Si tratta, ogni volta, di fa tornare a vivere qualcosa che non c’è più eppure c’è, oltre il paradosso. E si tratta, per un regista, di dare a quel paradosso una direzione stringente, che ci restituisca il senso di una necessità originaria. Tornare alle fonti di un classico significa attraversarlo per poi dimenticarlo, dopo esserne stati perciò completamente permeati. E sempre l’infedeltà apparente è una fuga dal museo per rendere attuale ciò che potrebbe essere solo contemplazione del consolidato e inerme passato. Ma il teatro vive nel presente, più di ogni arte pulsa di sangue e carne, fa sentire il suo respiro in un posto preciso, in un momento determinato. Come nella tragedia greca il pubblico è il coro, si scioglie, ma collettivamente, in un rito laico e arcaico, la polarizzazione tra artista che crea e pubblico che fruisce salta. Il teatro, sembra voler continuare a ribadire Valerio Binasco, è opera quanto mai collettiva, il pubblico ne è parte quanto il regista, gli attori, chi ha curato le luci e i suoni. Da una parte Ionesco, dall’altra questo preciso momento storico e chi sceglie un testo per rappresentare un sempre inedito tutto che è la benedizione e la maledizione del teatro, il suo doppio nodo da sciogliere perché fluisca, “per sempre adesso”, libero da costrizioni filologiche e reverenziali.

Il Teatro dell’assurdo di Ionesco rischia quindi e proprio per il suo essere già “classico” di diventare “il luogo del delitto” di uno spirito che, se non rinnovato, soffoca tra le sempre più velocemente mutevoli spire del tempo. Potremmo parlare di una sorta di operazione chirurgica a cuore aperto. Il cuore è quello di un’urgenza di pulsare in un presente che non c’è più, e ridargli vita.
Letteralmente, di rimetterlo in scena.
C’è qualcosa di liricamente scientifico (perdonate l’ennesimo ossimoro, tale forse solo in apparenza, a ben scavare) nella chirurgia di un classico che è anche diagnostica del contemporaneo e ricerca di nuovi percorsi storiografici.
Si va in scena sempre nel presente, anche in un presente così lontano da tutti i presenti trascorsi come quelli che dal 9 marzo 2020 hanno stravolto le nostre abitudini e le basi della vita quotidiana così come per decenni, pur attraverso fisiologiche mutazioni, le abbiamo vissute. Oggi resta ben poco delle intenzioni iniziali di Le sedie, ma quel “ben poco” è il preziosissimo sale alchemico su cui Binasco, assieme a Michele Di Mauro e Federica Fracassi e a tutti quelli che hanno partecipato a questa trasmutazione, ha lavorato con struggente precisione. Lavoro che trapela dalla sue parole. Intense, controllate eppure come un carsico sfondo ricche di un portato innovativo perché assolutamente interiore, fedele a un destino personale che diventa collettivo se espresso con precisione millimetrica, sfiorando quel vertice implicito in tutta l’arte che sempre rivela come i drammi nostri privati tanto assomiglino a quelli di tutti, e che l’uomo Dante disperso nei meandri del suo tempo non differisce da ogni altro uomo (o donna, va da sé) si sia inoltrato (e inevitabilmente lo fa) nella propria, personalissima selva oscura.
Questo è quello che ho sentito urgere nelle parole di Valerio Binasco.
Questo è quello che ho visto.

Fotografia di Luigi De Palma   

 

Innanzitutto…
Binasco ha saputo calibrare con rigore l’aspetto oggi più ingannevole dell’etichetta Teatro dell’assurdo. L’apparente svampitezza di Ionesco, il suo “far ridere” grazie a un portato, perfettamente messo in scena, dell’umano e del suo linguaggio ridotto a pantomima di se stesso, non può, nel 2021, essere la spia di una debolezza, di un’incapacità umana tenuta nascosta. Se Jarry ha spinto alla caricatura assoluta la natura di “pupazzo animato” dell’uomo contrapponendola ai vari nipotini di un Nietzsche fin troppo frainteso (così si muove la Storia, quella con la “S” maiuscola, e il suo delirio shakespeariano), Ionesco sbuffoneggiava (uso volontariamente l’imperfetto) l’assurdo stesso, in una sorta di elevazione al quadro dell’assurdo: da quello esistenziale a quello teatrale, da quello teatrale a quello genericamente culturale nel proseguo di un discorso che chiamiamo “cultura” (o, meglio, “culture”, nel loro intrecciarsi) che pure ha i suoi luoghi elettivi, e il teatro è tra questi principe.
Dpcm permettendo e comunque.

Dicevamo della clownesca messa in scena del reale di Ionesco.
Le sedie è un testo pensato anche, e molto, “per far ridere”.
E si ride, guardando (vivendo) Le sedie di Ionesco-Binasco.
Però…
In quel però c’è per chi scrive l’essenza di questo spettacolo, che sa di meraviglia, e meravigliosamente ha commosso chi scrive e le poche persone che, quel giorno, con lui lo hanno condiviso. Si tratta di vibrare nel presente. Questo presente che non è più, ne abbiamo ampiamente parlato, quello di Ionesco. La chiave di volta dell’impianto registico è semplice, e Dio sa quanto la semplicità richieda cura.
La chiave di volta dell’interpretazione di Binasco del testo di Ionesco, dicevamo, è l’accento sulla malinconia di un assurdo fatale, nel sangue del quale sfugge quell’inafferrabile filo che tutto lega, l’amore, e che continuamente ricuciamo, linguisticamente, come meglio ci riesce e sempre, per limiti della nostra natura, limitatamente.
Le sedie di Ionesco-Binasco sono dunque una riflessione esiziale sull’amore. Sul suo proporsi giorno dopo giorno come necessario e impraticabile. Si cammina su soffici, ma non per questo non penetranti, e devastanti, spine sotto la scure implacabile del tempo. E fanno ridere e ci dispiegano sentimenti di sconosciuta tenerezza i due bravissimi attori intenti a raccogliere i rottami di una storia, quella della loro vita, che è poi quella di tutte le vite, con goffaggine straordinariamente composta, con vacuità che per inaspettato contraccolpo (un vero “colpo di scena!”) porta l’assurdo a sposarsi con l’elegiaco, in un matrimonio che non perde mai (perché forse l’ha persa da sempre, ma eroicamente così si reinventa, fino a naturale combustione) il senso di un abbraccio che rigenera il mito di un Eden perduto, di un infinito che vive da noi solo di strappi.
Una grande storia d’amore.
Bislacca per eccesso di verità. Quella che la psicanalisi sa non può essere detta e a cui l’arte, la vera arte, tende sempre fallendo l’obiettivo.
Di poco, ma sempre.
«Le sedie che Fracassi e Di Mauro dispongono attorno a sé sono, – mi dice Valerio Binasco -, “Tutti”», e tutti siamo tutti noi, e quelli che sono stati e che saranno, nell’inesplicabile particolarità di ogni situazione esistenziale, vera o falsa che sia non importa, perché il vero del teatro è tutto interiore, in una sorta di osceno (nel senso, questa volta, meramente etimologico di riuscire, proditoriamente, a evadere dalla scena per tornare, più forte, in noi) e renderci strabicamente veggenti. Lo strabismo è quello di Venere, va da sé, e i dardi mai scagliati sono quelli di Eros, accatastati in una torre di memorie sconclusionata eppure sacra, eppure dolcissima.
Le personalità dei due protagonisti si (con)fondono tra di loro, si separano solo per rivendicare peccati veniali di egocentrismo subito dissolti da una memoria che si conosce difettosa, tra quelli che, secondo una stupenda definizione di Hans Magnus Enzensberger, sono “vorticosi souvenirs” di una vita forse mai vissuta, parodia della parodia della commedia (e non tragedia, mai: per pudore, per dignità) umana.
Chi abita il palco di Le sedie?
Una coppia decrepita, due morti che si ritrovano, forse periodicamente e fuori dalle leggi del periodo? Non si sa e non ha senso saperlo («Ciò che è stato compreso non esiste più», scrisse Eluard). Il senso è nel loro sproloquio così terribilmente incandescente, “bucato” da un impossibile sogno di “normalità” che è forse l’eredità più importante di quello che fu storicamente il Teatro dell’assurdo.
E quanta gente, reale o non reale, abita il palco in cui vanno e vengono fantasmi (che poi, ci ricorda Leopardi nello Zibaldone, sono “anime di fantasia”)…
Così l’assurdo diventa una spina nel cuore, e da quella spina zampilla il sangue del vivo sui volti dei vivi che ne condividono, attraverso la magia del teatro, la ferita che solo la morte ricompone, nel finale che unifica tutti i finali, nel sipario che inevitabilmente si chiude.
Ma si riapre.
Si riapre sempre e sia per sfortuna o per fortuna non sta a noi dirlo, troppo attualmente spinti da forze maggiori e ingovernabili a assistere al “nostro” spettacolo.

Giorno dopo giorno.
Disponendo sul nostro palco privato “le sedie di tutti”.
Di tutti.
Tutti “Noi”.
Noi chi?
Non ci è dato saperlo.
Ma siamo tenuti a viverlo.
Tutti.
Noi.
Fino in fondo.
Nel silenzio sospeso dell’ultima scena.

Fotografia di Luigi De Palma